Città Civile ricorda Rosa Vendola, martire terlizzese delle foibe

Ed il movimento civico rammenta l'importanza del contrasto al negazionismo

lunedì 10 febbraio 2020 17.42
A cura di Gianluca Battista
Nel Giorno del Ricordo dedicato ai martiri giuliano-dalmati ed istriani ed all'esodo di 350.000 persone dai territori orientali un tempo italiani, anche Città Civile ha voluto dedicare un pensiero.

Un pensiero che è andato a Rosa Vendola, trucidata nelle foibe dalla furia cieca dei comunisti titini nel 1945, anche lei vittima della follia di un regime totalitario come don Pietro Pappagallo ed il prof. Gioacchino Gesmundo che perirono alle Fosse Ardeatine.

«Lei (la cui storia è stata portata alla luce anni fa da docenti e alunni della scuola terlizzese), aggiungendosi a don Pietro e a Gioacchino Gesmundo, vittime della violenza nazi-fascista - ricordano da Città Civile - fanno di Terlizzi una città metafora della lotta contro ogni sopruso (anche in tempo di pace). Fu con una nostra richiesta in consiglio comunale che parti il procedimento per il riconoscimento onorifico ai parenti nipoti ancora vivi».

A Rosa Vendola ed alle altre migliaia di vittime del comunismo slavo (cifre ufficiose raccontano nelle stime più alte di 12.000 infoibati di etnia italiana, ma anche croati e sloveni dissidenti), sacerdoti, semplici cittadini, molte donne, partigiani bianchi, solo in minima parte ex fascisti, va il pensiero della comunità terlizzese, ancora troppo fredda su argomenti come questo che dovrebbero portare ad una memoria ed a valori condivisi.

CHI ERA ROSA VENDOLA

Rosa Vendola era nata a Terlizzi il 6 novembre 1898 da Costante Vendola ed Angela Rutigliani. Divenne insegnante e si trasferì a Castel Dobro (in sloveno Dobrovo) per poi andare ad insegnare in un asilo nel comune di Trebignano. Di lei si persero le tracce alla fine della seconda guerra mondiale, in territori attraversati da violente rappresaglie titine solo in parte provocate dalla "italianizzazione" di quelle zone volute da Mussolini. Fu così dichiarata "dispersa per causa di guerra". Fu un atto del Tribunale di Trani, del 1962, a dichiararne la morte presunta all'interno degli inghiottitoi carsici, dette appunto foibe, dal termine latino fovea.
In quelle cavità furono scaraventati migliaia di nostri connazionali dalle truppe jugoslave agli ordini del Maresciallo Broz Josip Tito il quale, beffa della storia, ricevette il titolo di Cavaliere della Gran Croce per valor militare della Repubblica Italiana. I silenzi complici del PCI e dell'allora partito di maggioranza, la Democrazia Cristiana, per ragioni ideologiche e di mera convenienza politica, furono invece determinanti per lasciare Rosa Vendola e le migliaia di vittime delle foibe rinchiusi nell'armadio della storia per mezzo secolo.