Gianfranco Albano racconta il "suo" don Pietro Pappagallo a TerlizziViva
Il regista ripercorre il rapporto di amicizia con il prof. Antonio Lisi
martedì 9 novembre 2021
Nel ricordo della figura di Don Pietro Pappagallo, al quale lo scorso 25 ottobre è stata concessa l'onorificenza di "Giusto tra le nazioni" da parte dello Yad Vashem per lo Stato di Israele, in esclusiva per TerlizziViva ha rilasciato un'intervista densa e minuziosa l'intellettuale Gianfranco Albano, regista che, nella sua corposa filmografia, annovera anche la toccante miniserie di due puntate "La buona battaglia – Don Pietro Pappagallo". Un lavoro trasformato poi anche nella versione filmica del 2006.
L'anteprima della fiction, prodotta per la RAI, fu proiettata il 21 aprile di quindici anni fa all'interno dell'auditorium della Fraternità Francescana di Betania e ad essa fece seguito un convegno dedicato alla presenza sia dell'attore protagonista Flavio Insinna che interpretava il martire delle Fosse Ardeatine sia dello stesso regista Albano.
Si trattò di un evento di grande rilievo, unico nel genere, organizzato dal "Comitato pro Don Pietro e Gioacchino Gesmundo" e dalla Pro Loco di Terlizzi con il coordinamento della direzione generale della RAI. Un avvenimento che rientra ad ampio titolo nella memoria storica del nostro paese: circa trecento posti a sedere vennero occupati dalle autorità religiose e civili e dai cittadini invitati a prender parte a una presentazione così importante che conferì lustro alla citta di Terlizzi.
È stata senza dubbio un'esperienza molto complessa che mi ha raggiunto nel profondo dell'animo. Ha rappresentato un arricchimento personale per gli approfondimenti condotti: ho acconsentito a dirigere la fiction perché riguarda un momento storico che mi coinvolge intimamente, connotandosi per la sua assoluta e manifesta irragionevolezza.
Peraltro non potevo sottrarmi al contributo apportato nella sceneggiatura da Furio Scarpelli, cui va tutta la mia stima, considerandolo un professionista di alto livello.
Ma soprattutto il mio senso di amicizia e gratitudine va al professore Antonio Lisi, da ritenersi pienamente biografo del film, dal momento che è dal suo libro scritto nel 1995 "Don Pietro Pappagallo: un eroe, un Santo" che la RAI ha attinto il materiale di base per la stesura dei copioni e la predisposizione della scenografia.
Il testo di Lisi rappresenta una fonte storica inestimabile: contiene infatti una dettagliata ricostruzione dell'eccidio delle Fosse Ardeatine congiuntamente a documenti e testimonianze dello stesso Don Pietro Pappagallo. Per i dovuti riconoscimenti da rendere noti ai posteri, il volume fu patrocinato dalla Pro Loco di Terlizzi, di cui all'epoca era presidente già Franco Dello Russo, che saluto con affetto dato il bel rapporto che si è instaurato nel tempo.
Soffermiamoci sullo spessore di Antonio Lisi, storico, psicologo e docente di origini terlizzesi che ha condotto gran parte della sua esistenza a Rieti, dove dapprima ha insegnato e poi è divenuto preside. Che ruolo ha svolto il professor Lisi all'interno della realizzazione della fiction?
Direi che è stato quasi sempre presente dietro le quinte quale punto di riferimento nel guidarci nella più fedele trasposizione possibile della vita di Don Pietro.
Lisi è stata una persona amabile, deliziosa, dolcissima e mi ritengo fortunato ad averlo incrociato sul mio cammino lavorativo. È nata sin da subito una grande empatia, mi ha accordato la sua fiducia: io avvertivo il peso del suo affidamento nei miei confronti e ho vissuto tutto il periodo della produzione della fiction con una pesante tensione emotiva.
Mi domandavo spesso se ero effettivamente all'altezza delle aspettative di un uomo di elevata cultura. Ricordo ancora che gli occhi brillavano a entrambi alla fine delle riprese.
Antonio Lisi è stato dunque indispensabile: senza di lui e il suo libro probabilmente il film non avrebbe mai visto la luce. Lisi aveva conosciuto personalmente Don Pietro, era un suo amico stretto, tant'è che si recò perfino a Roma per riconoscere il corpo esanime del parroco trucidato nel 1944.
Insieme all'attore Flavio Insinna, ho incontrato più volte Lisi a Cortigliano, in provincia di Rieti: volevamo conoscere tutto su don Pietro in quanto uomo, dal suo accento al portamento, alle abitudini e al suo impegno contro il nazifascismo. Era nostro intento restituire al grande pubblico un'immagine quanto più veritiera possibile di Don Pietro. Sul set, poi, Lisi ci aiutava nella veste, per così dire, di consulente per indirizzare al meglio la troupe e gli attori.
Tra l'altro Lisi ha fondato il "Comitato pro Don Pietro Pappagallo e Gioacchino Gesmundo" patrocinato dal vostro Comune di Terlizzi con una duplice sede: sia a Roma all'interno del Museo Storico della Liberazione sia nella stessa Pro Loco terlizzese. Quindi chi meglio di lui avrebbe potuto coadiuvarci per offrire agli spettatori un prodotto di qualità?
Come è stato per il noto e talentuoso attore Flavio Insinna recitare nel ruolo di Don Pietro Pappagallo?
Reputo Flavio Insinna uno straordinario compagno di lavoro.
Sono state circa dieci settimane di riprese alquanto impegnative, perché trattavamo di argomenti delicati in cui bisognava coniugare uno sguardo oggettivo con un'istanza soggettiva: non è stato semplice amalgamare la verità storica e l'immedesimazione degli attori senza scadere nel banale sentimentalismo. È stato emotivamente travolgente essere alla regia e altrettanto si è rivelato per Insinna impersonare un eroe che ha speso la sua esistenza a salvare vite umane.
Ad esempio, Flavio ha dormito per due mesi sul pavimento per entrare maggiormente nella parte: lui stesso ha dichiarato di aver considerato il film il più bello della sua carriera.
Vuole raccontare qualche aneddoto che le è rimasto particolarmente impresso?
Per meglio comprendere la portata del massacro alle Fosse Ardeatine, avvertii il bisogno di recarmi sul posto e respirare l'aria di morte che aleggia sulla cava. Ho potuto vedere le tombe allineate delle 335 vittime uccise in maniera efferata: sulle lapidi sono presenti i nomi dei martiri con cui sono venuto in contatto attraverso i personaggi sul set. Sono scoppiato in lacrime, una stretta al cuore mi ha colpito per il dolore.
Pensa che il film "La buona battaglia" abbia ancora oggi dei risvolti attuali?
Ancora oggi si assiste purtroppo a strascichi di fascismo. È come se negli italiani non fosse stata inculcata a sufficienza la Costituzione che detta i principi fondamentali su cui si basa la vita sociale, la quale si articola in diritti e doveri.
Molti degli avi dei ragazzi di adesso sono morti in guerra, combattendo per la libertà. Ma sembra che non si attribuisca il giusto significato alla parola libertà, quasi che le nuove generazioni non siano state adeguatamente educate.
Dilaga tra i giovanissimi un substrato di degrado imperniato sull'avere piuttosto che sull'essere.
Cosa fare, dunque, per instradare i ragazzi a sviluppare una coscienza critica?
Sono ospite spesso nelle scuole come relatore perché la maggior parte dei miei film è di carattere sociale. Non è mio compito fornire delle risposte puntuali, ma mi piace credere di poter gettare dei semi che germoglieranno in riflessioni future e prese di consapevolezza.
Talvolta mi sembra di assumere il ruolo di un sacerdote che celebra la Santa Messa: l'uditorio è attento. È davvero fondamentale ascoltare i pensieri degli studenti e tracciare insieme delle indicazioni da seguire nel vivere quotidiano, soprattutto per spiegare che non sempre è positivo allinearsi al pensiero massificato.
"La buona battaglia" però continua a essere proiettata negli istituti scolastici e non solo: questo sicuramente rappresenta un segno di speranza per instillare gocce di una maturazione personale.
Il prossimo 2 dicembre il film sarà visto nelle scuole e questo mi riempie di gioia. Si tratta, in fondo, di una lezione di storia enormemente dolorosa che scava nel cuore dell'uomo come nel suo abisso più terrificante. Il pubblico va preparato perché è d'impatto: al termine della visione lo stato emozionale ne esce sconvolto.
L'anteprima della fiction, prodotta per la RAI, fu proiettata il 21 aprile di quindici anni fa all'interno dell'auditorium della Fraternità Francescana di Betania e ad essa fece seguito un convegno dedicato alla presenza sia dell'attore protagonista Flavio Insinna che interpretava il martire delle Fosse Ardeatine sia dello stesso regista Albano.
Si trattò di un evento di grande rilievo, unico nel genere, organizzato dal "Comitato pro Don Pietro e Gioacchino Gesmundo" e dalla Pro Loco di Terlizzi con il coordinamento della direzione generale della RAI. Un avvenimento che rientra ad ampio titolo nella memoria storica del nostro paese: circa trecento posti a sedere vennero occupati dalle autorità religiose e civili e dai cittadini invitati a prender parte a una presentazione così importante che conferì lustro alla citta di Terlizzi.
L'INTERVISTA
Innanzitutto la redazione di TerlizziViva la ringrazia per aver mostrato una gentile disponibilità nel rilasciare una preziosa testimonianza sul lavoro televisivo su Don Pietro Pappagallo. Una domanda per rompere il ghiaccio: come descrive la sua esperienza alla regia di una rievocazione storica così rilevante?È stata senza dubbio un'esperienza molto complessa che mi ha raggiunto nel profondo dell'animo. Ha rappresentato un arricchimento personale per gli approfondimenti condotti: ho acconsentito a dirigere la fiction perché riguarda un momento storico che mi coinvolge intimamente, connotandosi per la sua assoluta e manifesta irragionevolezza.
Peraltro non potevo sottrarmi al contributo apportato nella sceneggiatura da Furio Scarpelli, cui va tutta la mia stima, considerandolo un professionista di alto livello.
Ma soprattutto il mio senso di amicizia e gratitudine va al professore Antonio Lisi, da ritenersi pienamente biografo del film, dal momento che è dal suo libro scritto nel 1995 "Don Pietro Pappagallo: un eroe, un Santo" che la RAI ha attinto il materiale di base per la stesura dei copioni e la predisposizione della scenografia.
Il testo di Lisi rappresenta una fonte storica inestimabile: contiene infatti una dettagliata ricostruzione dell'eccidio delle Fosse Ardeatine congiuntamente a documenti e testimonianze dello stesso Don Pietro Pappagallo. Per i dovuti riconoscimenti da rendere noti ai posteri, il volume fu patrocinato dalla Pro Loco di Terlizzi, di cui all'epoca era presidente già Franco Dello Russo, che saluto con affetto dato il bel rapporto che si è instaurato nel tempo.
Soffermiamoci sullo spessore di Antonio Lisi, storico, psicologo e docente di origini terlizzesi che ha condotto gran parte della sua esistenza a Rieti, dove dapprima ha insegnato e poi è divenuto preside. Che ruolo ha svolto il professor Lisi all'interno della realizzazione della fiction?
Direi che è stato quasi sempre presente dietro le quinte quale punto di riferimento nel guidarci nella più fedele trasposizione possibile della vita di Don Pietro.
Lisi è stata una persona amabile, deliziosa, dolcissima e mi ritengo fortunato ad averlo incrociato sul mio cammino lavorativo. È nata sin da subito una grande empatia, mi ha accordato la sua fiducia: io avvertivo il peso del suo affidamento nei miei confronti e ho vissuto tutto il periodo della produzione della fiction con una pesante tensione emotiva.
Mi domandavo spesso se ero effettivamente all'altezza delle aspettative di un uomo di elevata cultura. Ricordo ancora che gli occhi brillavano a entrambi alla fine delle riprese.
Antonio Lisi è stato dunque indispensabile: senza di lui e il suo libro probabilmente il film non avrebbe mai visto la luce. Lisi aveva conosciuto personalmente Don Pietro, era un suo amico stretto, tant'è che si recò perfino a Roma per riconoscere il corpo esanime del parroco trucidato nel 1944.
Insieme all'attore Flavio Insinna, ho incontrato più volte Lisi a Cortigliano, in provincia di Rieti: volevamo conoscere tutto su don Pietro in quanto uomo, dal suo accento al portamento, alle abitudini e al suo impegno contro il nazifascismo. Era nostro intento restituire al grande pubblico un'immagine quanto più veritiera possibile di Don Pietro. Sul set, poi, Lisi ci aiutava nella veste, per così dire, di consulente per indirizzare al meglio la troupe e gli attori.
Tra l'altro Lisi ha fondato il "Comitato pro Don Pietro Pappagallo e Gioacchino Gesmundo" patrocinato dal vostro Comune di Terlizzi con una duplice sede: sia a Roma all'interno del Museo Storico della Liberazione sia nella stessa Pro Loco terlizzese. Quindi chi meglio di lui avrebbe potuto coadiuvarci per offrire agli spettatori un prodotto di qualità?
Come è stato per il noto e talentuoso attore Flavio Insinna recitare nel ruolo di Don Pietro Pappagallo?
Reputo Flavio Insinna uno straordinario compagno di lavoro.
Sono state circa dieci settimane di riprese alquanto impegnative, perché trattavamo di argomenti delicati in cui bisognava coniugare uno sguardo oggettivo con un'istanza soggettiva: non è stato semplice amalgamare la verità storica e l'immedesimazione degli attori senza scadere nel banale sentimentalismo. È stato emotivamente travolgente essere alla regia e altrettanto si è rivelato per Insinna impersonare un eroe che ha speso la sua esistenza a salvare vite umane.
Ad esempio, Flavio ha dormito per due mesi sul pavimento per entrare maggiormente nella parte: lui stesso ha dichiarato di aver considerato il film il più bello della sua carriera.
Vuole raccontare qualche aneddoto che le è rimasto particolarmente impresso?
Per meglio comprendere la portata del massacro alle Fosse Ardeatine, avvertii il bisogno di recarmi sul posto e respirare l'aria di morte che aleggia sulla cava. Ho potuto vedere le tombe allineate delle 335 vittime uccise in maniera efferata: sulle lapidi sono presenti i nomi dei martiri con cui sono venuto in contatto attraverso i personaggi sul set. Sono scoppiato in lacrime, una stretta al cuore mi ha colpito per il dolore.
Pensa che il film "La buona battaglia" abbia ancora oggi dei risvolti attuali?
Ancora oggi si assiste purtroppo a strascichi di fascismo. È come se negli italiani non fosse stata inculcata a sufficienza la Costituzione che detta i principi fondamentali su cui si basa la vita sociale, la quale si articola in diritti e doveri.
Molti degli avi dei ragazzi di adesso sono morti in guerra, combattendo per la libertà. Ma sembra che non si attribuisca il giusto significato alla parola libertà, quasi che le nuove generazioni non siano state adeguatamente educate.
Dilaga tra i giovanissimi un substrato di degrado imperniato sull'avere piuttosto che sull'essere.
Cosa fare, dunque, per instradare i ragazzi a sviluppare una coscienza critica?
Sono ospite spesso nelle scuole come relatore perché la maggior parte dei miei film è di carattere sociale. Non è mio compito fornire delle risposte puntuali, ma mi piace credere di poter gettare dei semi che germoglieranno in riflessioni future e prese di consapevolezza.
Talvolta mi sembra di assumere il ruolo di un sacerdote che celebra la Santa Messa: l'uditorio è attento. È davvero fondamentale ascoltare i pensieri degli studenti e tracciare insieme delle indicazioni da seguire nel vivere quotidiano, soprattutto per spiegare che non sempre è positivo allinearsi al pensiero massificato.
"La buona battaglia" però continua a essere proiettata negli istituti scolastici e non solo: questo sicuramente rappresenta un segno di speranza per instillare gocce di una maturazione personale.
Il prossimo 2 dicembre il film sarà visto nelle scuole e questo mi riempie di gioia. Si tratta, in fondo, di una lezione di storia enormemente dolorosa che scava nel cuore dell'uomo come nel suo abisso più terrificante. Il pubblico va preparato perché è d'impatto: al termine della visione lo stato emozionale ne esce sconvolto.