Il seme di don Pietro Pappagallo germoglia a Terlizzi (FOTO)
Cerimonia di consegna dell'onorificenza di "Giusto tra le Nazioni" nella scuola a lui dedicata
martedì 26 ottobre 2021
13.24
Resterà nella scuola di Terlizzi a lui intitolata, per volontà dei suoi discendenti, l'onorificenza di "Giusto tra le Nazioni" concessa a don Pietro Pappagallo, martire antifascista delle Fosse Ardeatine, dallo Yad Vashem per lo Stato di Israele.
Il massimo riconoscimento dello Stato ebraico è stato consegnato stasera, 25 ottobre, nelle mani di Pietro Pappagallo, pronipote del sacerdote, dalla funzionaria d'ambasciata Smadar Shapira. Commovente la cerimonia tenutasi nell'atrio della istituto scolastico di viale Roma alla presenza del sindaco Ninni Gemmato (forte il suo messaggio per le nuove generazioni che dovranno abbeverarsi alla fonte dei valori che la figura di don Pietro ispira), della Giunta comunale tutta, dei consiglieri delle opposizioni, delle autorità civili e militari cittadine, dei rappresentanti del Governo italiano, di Nichi Vendola e di Marcello Gemmato, dei delegati della Città Metropolitana, della Regione Puglia e della Prefettura di Bari, nonché del Vescovo della Diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, mons. Domenico Cornacchia, accompagnato dal clero locale, e del dirigente scolastico Vitantonio Petronella. Moderatore impeccabile è stato il presidente dell'Ordine dei Giornalisti della Puglia, Piero Ricci.
Il fiore di don Pietro Pappagallo potrà così germogliare nel luogo dove si formano le coscienze delle future generazioni, per tramandare nei decenni un messaggio universale contro dittature e razzismo. Sarà lì a testimoniare quanto l'amore per il prossimo possa essere totalizzante, quanto il messaggio cristiano possa essere potente e continuare, nonostante ogni tentativo, a parlarci di pace.
La rappresentante dell'Ambasciata israeliana in Italia, Smadar Shapira ha spiegato il perché della decisione dello Yad Vashem, l'ente preposto a tramandare il ricordo della Shoah e ad identificare i giusti nel mondo.
«Ringrazio e saluto famiglia Pappagallo - ha detto la funzionaria -. La memoria è centrale nell'ebraismo, essa ha consentito di preservare la propria identità anche in esilio. Solo perché abbiamo ricordato Gerusalemme negli ultimi 2000 anni, ci abbiamo fatto ritorno. La Shoah è stata una enorme tragedia, una tragedia del popolo ebraico e dell'intera umanità. Circa 6 milioni di ebrei sono stati sterminati per mano del regime nazista e tra questi 6 milioni contiamo molti ebrei italiani che conobbero la vergogna delle leggi raziali e della deportazione.
Ma ci sono le storie dei non ebrei che salvarono la vita degli ebrei e noi riconosciamo queste persone "Giusti tra le Nazioni". Sono oltre 700 gli italiani definiti "giusti" e tra di essi da oggi c'è don Pietro Pappagallo. Lo Yad Vashem - ha quindi spiegato - assegna la medaglia su tre principi, conferendola a chi risponde a tre requisiti: in primis chi da non ebreo ha salvato ebre; in secondo luogo viene consegnata a chi lo ha fatto a rischio della propria vita ed infine a chi lo ha fatto senza ricevere danaro in cambio.
Nel Talmud, il libro sacro ebraico, è scritto: "Chi salva una vita, salva il mondo intero". Don Pietro è tra quelli che hanno salvato il mondo», la sua conclusione tra la commozione dei presenti.
«Il 2 novembre 2017 - ha raccontato Brucoli - ho incontrato a Roma Carmina Muccitelli, ultima testimone di don Pietro Pappagallo. Ricordava di aver avuto al magistrale una insegnante ebrea svanita nel nulla e le grida strazianti della domestica di don Pietro dopo la delazione ai fascisti. "Don Pietro era un giusto", mi aveva sempre detto. Carmina ricordava la velocità con cui don Pietro celebrava la messa: condensava il rito in un quarto d'ora soltanto e lo faceva - ha sottolineato Brucoli - perché aveva urgenza di "percorrere la navata del mondo", come diceva don Tonino Bello, dove svolgere la sua missione al nazifascismo di prete e di resistente. Aveva fretta di celebrare nel mondo la sua oblazione totale. Decisiva per decisione di concedergli l'onorificenza - ha ricordato - fu la salvezza di una bambina. Dovremmo andare a scuola dai bambini che hanno il cuore sgombero dal pregiudizio. Come poteva permettere don Pietro che fosse insidiata la vita di una bambina ebrea, sarebbe stato un oltraggio al suo cuore aurorale. Della bambina non sappiamo il nome, ma sappiamo com'era allora, quando la guerra si fece ancor più terribile. Era tedesca e senza genitori. Era, di fatto, una condannata a morte. Ada Alessandrini, antifascista e resistente ternana - ha proseguito Brucoli - si rivolse a Carlo Zaccagnini, ma gli ostacoli linguistici lo fecero desistere. Don Pietro invece la salvò grazie ad un timbro (quello di parenti tipografi che attestavano che si trattava di una bimba sfollata). Di lei si ricorda solo che andava per Roma, con un cappottino liso e con una tartarughina a cui prestava tanta attenzione».
Poi il messaggio che guarda al domani, alle nuove generazioni, alla costruzione di un mondo nuovo su base cristiana: «La dignità di ogni uomo, donna, adulto, bambino, abile o disabile è fondamentale - ha ribadito ancora Brucoli - ed è per questo che dobbiamo infine domandarci "Don Pietro di quale giustizia è icona esemplare?".
Nel mondo vi sono 28.000 giusti, tra cui 744 italiani. Nel nostro sistema culturale la giustizia viene amministrata in base ad una regola educativa, c'è l'autoconsapevolezza, lo spazio dell'autocoscienza. Ecco, don Pietro ci porta nello scrigno più prezioso della mente umana.
Nella cultura ebraica invece la giustizia è in costante tensione verso l'Alto e coniuga l'altro. E nelle prime sure del Corano c'è l'esaltazione del misericordioso, del compassionevole. E quindi ne deduciamo che non è solo il mondo civile a doversi inchinare a don Pietro, ma è l'intero universo religioso monoteista che deve farlo verso colui il quale ha incarnato la misericordia».
Don Pietro è giusto per quello che fece in vita sin dall'aprile 1915, quando fu ordinato sacerdote: fu dalla parte degli oppressi, fu dalla parte dei lavoratori, fu faro per l'educazione dei più poveri. Il suo seme non può non germogliare in una scuola essa stesso simbolo della città dei fiori.
Sotto il nostro articolo, un'ampia galleria fotografica.
Il massimo riconoscimento dello Stato ebraico è stato consegnato stasera, 25 ottobre, nelle mani di Pietro Pappagallo, pronipote del sacerdote, dalla funzionaria d'ambasciata Smadar Shapira. Commovente la cerimonia tenutasi nell'atrio della istituto scolastico di viale Roma alla presenza del sindaco Ninni Gemmato (forte il suo messaggio per le nuove generazioni che dovranno abbeverarsi alla fonte dei valori che la figura di don Pietro ispira), della Giunta comunale tutta, dei consiglieri delle opposizioni, delle autorità civili e militari cittadine, dei rappresentanti del Governo italiano, di Nichi Vendola e di Marcello Gemmato, dei delegati della Città Metropolitana, della Regione Puglia e della Prefettura di Bari, nonché del Vescovo della Diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, mons. Domenico Cornacchia, accompagnato dal clero locale, e del dirigente scolastico Vitantonio Petronella. Moderatore impeccabile è stato il presidente dell'Ordine dei Giornalisti della Puglia, Piero Ricci.
Il fiore di don Pietro Pappagallo potrà così germogliare nel luogo dove si formano le coscienze delle future generazioni, per tramandare nei decenni un messaggio universale contro dittature e razzismo. Sarà lì a testimoniare quanto l'amore per il prossimo possa essere totalizzante, quanto il messaggio cristiano possa essere potente e continuare, nonostante ogni tentativo, a parlarci di pace.
L'INTERVENTO DI SMADAR SHAPIRA
La rappresentante dell'Ambasciata israeliana in Italia, Smadar Shapira ha spiegato il perché della decisione dello Yad Vashem, l'ente preposto a tramandare il ricordo della Shoah e ad identificare i giusti nel mondo.«Ringrazio e saluto famiglia Pappagallo - ha detto la funzionaria -. La memoria è centrale nell'ebraismo, essa ha consentito di preservare la propria identità anche in esilio. Solo perché abbiamo ricordato Gerusalemme negli ultimi 2000 anni, ci abbiamo fatto ritorno. La Shoah è stata una enorme tragedia, una tragedia del popolo ebraico e dell'intera umanità. Circa 6 milioni di ebrei sono stati sterminati per mano del regime nazista e tra questi 6 milioni contiamo molti ebrei italiani che conobbero la vergogna delle leggi raziali e della deportazione.
Ma ci sono le storie dei non ebrei che salvarono la vita degli ebrei e noi riconosciamo queste persone "Giusti tra le Nazioni". Sono oltre 700 gli italiani definiti "giusti" e tra di essi da oggi c'è don Pietro Pappagallo. Lo Yad Vashem - ha quindi spiegato - assegna la medaglia su tre principi, conferendola a chi risponde a tre requisiti: in primis chi da non ebreo ha salvato ebre; in secondo luogo viene consegnata a chi lo ha fatto a rischio della propria vita ed infine a chi lo ha fatto senza ricevere danaro in cambio.
Nel Talmud, il libro sacro ebraico, è scritto: "Chi salva una vita, salva il mondo intero". Don Pietro è tra quelli che hanno salvato il mondo», la sua conclusione tra la commozione dei presenti.
COSÌ MONSIGNOR CORNACCHIA
Il Vescovo della Diocesi, S.E. Mons. Domenico Cornacchia, nel suo breve intervento ha ricordato che «noi dobbiamo molto a don Pietro. Il messaggio cristiano, fatto di amore - ha quindi ricordato il prelato - deve arrivare a chiunque indipendentemente da razza, lingua, stato. Mi sono commosso nel visitare questa scuola, dove docenti insegnano a bimbi ad affrontare la vita e don Pietro credo sia con loro. Mi auguro il sacrificio di tanti innocenti sia la luce nuova per questa nostra umanità».COMMOSSO RENATO BRUCOLI
Lo storico Renato Brucoli, colui il quale grazie ad una ricerca nel Centro di documentazione ebraica di Milano ha svelato alcuni particolari della vicenda umana di don Pietro Pappagallo, ha ricordato la motivazione per cui il sacerdote terlizzese è divenuto "Giusto tra le Nazioni".«Il 2 novembre 2017 - ha raccontato Brucoli - ho incontrato a Roma Carmina Muccitelli, ultima testimone di don Pietro Pappagallo. Ricordava di aver avuto al magistrale una insegnante ebrea svanita nel nulla e le grida strazianti della domestica di don Pietro dopo la delazione ai fascisti. "Don Pietro era un giusto", mi aveva sempre detto. Carmina ricordava la velocità con cui don Pietro celebrava la messa: condensava il rito in un quarto d'ora soltanto e lo faceva - ha sottolineato Brucoli - perché aveva urgenza di "percorrere la navata del mondo", come diceva don Tonino Bello, dove svolgere la sua missione al nazifascismo di prete e di resistente. Aveva fretta di celebrare nel mondo la sua oblazione totale. Decisiva per decisione di concedergli l'onorificenza - ha ricordato - fu la salvezza di una bambina. Dovremmo andare a scuola dai bambini che hanno il cuore sgombero dal pregiudizio. Come poteva permettere don Pietro che fosse insidiata la vita di una bambina ebrea, sarebbe stato un oltraggio al suo cuore aurorale. Della bambina non sappiamo il nome, ma sappiamo com'era allora, quando la guerra si fece ancor più terribile. Era tedesca e senza genitori. Era, di fatto, una condannata a morte. Ada Alessandrini, antifascista e resistente ternana - ha proseguito Brucoli - si rivolse a Carlo Zaccagnini, ma gli ostacoli linguistici lo fecero desistere. Don Pietro invece la salvò grazie ad un timbro (quello di parenti tipografi che attestavano che si trattava di una bimba sfollata). Di lei si ricorda solo che andava per Roma, con un cappottino liso e con una tartarughina a cui prestava tanta attenzione».
Poi il messaggio che guarda al domani, alle nuove generazioni, alla costruzione di un mondo nuovo su base cristiana: «La dignità di ogni uomo, donna, adulto, bambino, abile o disabile è fondamentale - ha ribadito ancora Brucoli - ed è per questo che dobbiamo infine domandarci "Don Pietro di quale giustizia è icona esemplare?".
Nel mondo vi sono 28.000 giusti, tra cui 744 italiani. Nel nostro sistema culturale la giustizia viene amministrata in base ad una regola educativa, c'è l'autoconsapevolezza, lo spazio dell'autocoscienza. Ecco, don Pietro ci porta nello scrigno più prezioso della mente umana.
Nella cultura ebraica invece la giustizia è in costante tensione verso l'Alto e coniuga l'altro. E nelle prime sure del Corano c'è l'esaltazione del misericordioso, del compassionevole. E quindi ne deduciamo che non è solo il mondo civile a doversi inchinare a don Pietro, ma è l'intero universo religioso monoteista che deve farlo verso colui il quale ha incarnato la misericordia».
Don Pietro è giusto per quello che fece in vita sin dall'aprile 1915, quando fu ordinato sacerdote: fu dalla parte degli oppressi, fu dalla parte dei lavoratori, fu faro per l'educazione dei più poveri. Il suo seme non può non germogliare in una scuola essa stesso simbolo della città dei fiori.
Sotto il nostro articolo, un'ampia galleria fotografica.