«L'ex mattatoio di Terlizzi pagato 169mila in meno del valore iniziale»
Un sistema corruttivo che passava per appalti truccati. Quello della struttura di via Macello sarebbe stato ricompensato con 100mila euro
venerdì 12 luglio 2024
20.29
Auto, percorsi benessere e soldi per affidamenti diretti e appalti. Come l'asta, «manipolata», per la vendita dell'ex mattatoio di Terlizzi: un'operazione che avrebbe permesso ad un imprenditore di acquistarlo ad un prezzo molto inferiore al valore reale in cambio di 100mila euro, simulando una compravendita immobiliare.
C'è anche questo nella misura cautelare del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani, Domenico Zeno, che ieri mattina nell'inchiesta "Mercimonio", diretta dalla Procura della Repubblica di Trani e condotta dalla Guardia di Finanza di Barletta, ha indagato 17 persone. Quattro quelle finite in carcere, fra cui il 65enne Francesco Gianferrini, accusato di «compiuto un atto contrario ai propri doveri d'ufficio» turbando «la gara per l'alienazione dell'ex mattatoio» comunale.
I fatti, secondo le indagini portate avanti dai pubblici ministeri Ubaldo Leo, Francesco Tosto e Giuseppe Francesco Aiello risalgono al periodo fra il 2016 e il 2021, quando Gianferrini era dirigente del settore Servizi Tecnici del Comune di Terlizzi e per l'alienazione dell'immobile di via Macello, su una superficie di 12mila metri quadrati, «riceveva» da un imprenditore - titolare di una impresa individuale - «per il tramite del coniuge convivente - si legge agli atti - la somma di 75mila euro».
Quella gara, dal 20 novembre 2015, era stata aggiudicata ad una s.r.l. di Terlizzi per 804mila euro, ma Gianferrini, «con motivazione apparente e pretestuosa», l'1 dicembre dello stesso anno, «revocava l'aggiudicazione». Non solo: «indiceva» una nuova asta alla quale «ammetteva, in violazione dei principi di concorrenza e trasparenza le uniche due offerte presente da imprese imputabili ad un unico centro decisionale», aggiudicando il bene per 635mila euro ad una ditta di Andria.
Ben 169mila euro in meno della prima aggiudicazione simulando una compravendita immobiliare nel Salento. La moglie di Gianferrini, infatti, «sottoscriveva un preliminare con» l'imprenditore andriese «avente ad oggetto la vendita di un immobile ubicato nel Comune di Nardò». Il titolare dell'impresa, «dopo 50 giorni dalla determina di aggiudicazione versava a titolo di caparra al Gianferrini, per il tramite del coniuge, la somma di 100mila euro, in parte (25mila euro) poi restituita».
Nel contratto si precisava che l'atto definitivo sarà stipulato o autenticato dal notaio (...) a decorrere dal 1° gennaio 2017 ed entro non oltre il 31 dicembre 2017». L'operazione, però, non si è mai conclusa: «Ebbene non è stato mai stipulato il contratto definitivo», hanno sottolineato gli inquirenti. Un vero accordo corruttivo.
C'è anche questo nella misura cautelare del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani, Domenico Zeno, che ieri mattina nell'inchiesta "Mercimonio", diretta dalla Procura della Repubblica di Trani e condotta dalla Guardia di Finanza di Barletta, ha indagato 17 persone. Quattro quelle finite in carcere, fra cui il 65enne Francesco Gianferrini, accusato di «compiuto un atto contrario ai propri doveri d'ufficio» turbando «la gara per l'alienazione dell'ex mattatoio» comunale.
I fatti, secondo le indagini portate avanti dai pubblici ministeri Ubaldo Leo, Francesco Tosto e Giuseppe Francesco Aiello risalgono al periodo fra il 2016 e il 2021, quando Gianferrini era dirigente del settore Servizi Tecnici del Comune di Terlizzi e per l'alienazione dell'immobile di via Macello, su una superficie di 12mila metri quadrati, «riceveva» da un imprenditore - titolare di una impresa individuale - «per il tramite del coniuge convivente - si legge agli atti - la somma di 75mila euro».
Quella gara, dal 20 novembre 2015, era stata aggiudicata ad una s.r.l. di Terlizzi per 804mila euro, ma Gianferrini, «con motivazione apparente e pretestuosa», l'1 dicembre dello stesso anno, «revocava l'aggiudicazione». Non solo: «indiceva» una nuova asta alla quale «ammetteva, in violazione dei principi di concorrenza e trasparenza le uniche due offerte presente da imprese imputabili ad un unico centro decisionale», aggiudicando il bene per 635mila euro ad una ditta di Andria.
Ben 169mila euro in meno della prima aggiudicazione simulando una compravendita immobiliare nel Salento. La moglie di Gianferrini, infatti, «sottoscriveva un preliminare con» l'imprenditore andriese «avente ad oggetto la vendita di un immobile ubicato nel Comune di Nardò». Il titolare dell'impresa, «dopo 50 giorni dalla determina di aggiudicazione versava a titolo di caparra al Gianferrini, per il tramite del coniuge, la somma di 100mila euro, in parte (25mila euro) poi restituita».
Nel contratto si precisava che l'atto definitivo sarà stipulato o autenticato dal notaio (...) a decorrere dal 1° gennaio 2017 ed entro non oltre il 31 dicembre 2017». L'operazione, però, non si è mai conclusa: «Ebbene non è stato mai stipulato il contratto definitivo», hanno sottolineato gli inquirenti. Un vero accordo corruttivo.