Lirio Abbate apprezzatissimo nell'ultima serata del Festival per la legalità a Terlizzi
Gremita la Pinacoteca De Napoli per la conclusione della kermesse di Città Civile
lunedì 11 ottobre 2021
13.27
La sobrietà e la corposa sostanza degli argomenti analizzati hanno rappresentato il tratto distintivo dell'ultima serata del Festival per la legalità 2021 di venerdì scorso 8 ottobre, incentrata sull'importanza del giornalismo d'inchiesta volto a dissipare misteri fitti e difficili da sbrogliare.
Attraverso il relazionare sul libro "Faccia da mostro", di cui è autore il giornalista Lirio Abbate, vicedirettore de "L'Espresso", gli ospiti, tra i massimi esperti delle vicende di mafia per la loro lunga carriera prestigiosa, hanno tentato di illuminare una fetta della storia italiana degli anni Ottanta che per certi versi rimane ancora oggi avvolta dalla nebbia.
Nella sua riconosciuta onestà intellettuale, Lirio Abbate ha messo nero su bianco un racconto avvincente «terribilmente vero» che può benissimo rientrare nel genere delle spy-story, spalancando una finestra alla possibilità di valutare ipotesi alternative di verità sugli intrecci tra la criminalità organizzata e gli apparati statali.
All'epiteto "Faccia da mostro" si è ricondotto, dopo trent'anni, il poliziotto Giovanni Aiello, dalla personalità borderline e la cui esistenza per moltissimo tempo è rimasta impalpabile, data la sua astuzia nell'invischiarsi abilmente in cosche malavitose coadiuvate da soggetti deviati appartenenti alle istituzioni. Aiello, nel periodo in cui avrebbe dovuto sottoporsi a giudizio nelle aule di giustizia, viene stroncato da un infarto per poi essere cremato nel suo paese d'origine in provincia di Catanzaro.
«Mi ha fatto male interiormente scrivere questo libro per tutti gli elementi sconcertanti che emergono, ma avevo necessità di fare luce su leggende metropolitane», dichiara Lirio Abbate in una gremitissima sala della Pinacoteca De Napoli, con una platea altrettanto titolata e curiosa. Abbate vive sotto scorta dati i pericoli corsi negli anni: nel 2017, tra l'altro, ha subito un attentato alla propria incolumità, ma nonostante la paura, il coraggio non s'arresta e la volontà di raccontare i fatti di rilevanza pubblica è più forte di qualsiasi timore.
Angoscia e turbamento trasudano da ogni pagina. «Lo Stato è sempre affidabile? Non sempre», dichiara in maniera asciutta Giuseppe Volpe, già procuratore capo del tribunale di Bari, il quale riconosce la professionalità di Abbate per aver anticipato le indagini della magistratura inquirente in alcuni casi celebri, come quello di Massimo Carminati, fiutando indizi significativi sui quali intervenire.
Volpe ha focalizzato l'attenzione finanche sulla mafia più pericolosa della Puglia, quella garganica che si contraddistingue per ferocia, familismo e vocazione imprenditoriale. In particolare, in questo contesto si diventa mafiosi tendenzialmente per vincoli di sangue e non per riti di affiliazione, come invece accade nel territorio barese. Inoltre, la strada maggiormente battuta è quella di intrufolarsi nelle maglie amministrative così da inquinare il tessuto sociale sin dalle alte sfere.
Il quadro dipinto è complesso e a tinte fosche. Da un lato, come sottolinea Piero Ricci, presidente dell'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ci sono taluni funzionari che tradiscono lo Stato e, dall'altro, alcuni servitori della Repubblica che vengono delegittimati.
«Nella magistratura italiana c'è grande stanchezza, evidenziandosi un più spiccato senso del compromesso e una maggiore predilezione per i reati perseguibili d'ufficio», è l'amara osservazione di Gianluca Di Feo, vicedirettore di Repubblica, che si appella ai giovani magistrati affinché la voglia di scoprire e di imparare faccia loro da guida nel lavoro.
Un pensiero viene rivolto ai premi Nobel per la pace 2021, i giornalisti dissidenti Maria Ressa e Dmitry Muratov: attestazioni di eccelsa qualità per il giornalismo svolto anche a costo della propria vita. «Voglio sottolineare l'importanza dei consorzi investigativi sulla scena internazionale, di cui per l'Italia fa parte solamente L'Espresso, coinvolto nel produrre inchieste dal respiro ultrastatale».
Attraverso il relazionare sul libro "Faccia da mostro", di cui è autore il giornalista Lirio Abbate, vicedirettore de "L'Espresso", gli ospiti, tra i massimi esperti delle vicende di mafia per la loro lunga carriera prestigiosa, hanno tentato di illuminare una fetta della storia italiana degli anni Ottanta che per certi versi rimane ancora oggi avvolta dalla nebbia.
Nella sua riconosciuta onestà intellettuale, Lirio Abbate ha messo nero su bianco un racconto avvincente «terribilmente vero» che può benissimo rientrare nel genere delle spy-story, spalancando una finestra alla possibilità di valutare ipotesi alternative di verità sugli intrecci tra la criminalità organizzata e gli apparati statali.
All'epiteto "Faccia da mostro" si è ricondotto, dopo trent'anni, il poliziotto Giovanni Aiello, dalla personalità borderline e la cui esistenza per moltissimo tempo è rimasta impalpabile, data la sua astuzia nell'invischiarsi abilmente in cosche malavitose coadiuvate da soggetti deviati appartenenti alle istituzioni. Aiello, nel periodo in cui avrebbe dovuto sottoporsi a giudizio nelle aule di giustizia, viene stroncato da un infarto per poi essere cremato nel suo paese d'origine in provincia di Catanzaro.
«Mi ha fatto male interiormente scrivere questo libro per tutti gli elementi sconcertanti che emergono, ma avevo necessità di fare luce su leggende metropolitane», dichiara Lirio Abbate in una gremitissima sala della Pinacoteca De Napoli, con una platea altrettanto titolata e curiosa. Abbate vive sotto scorta dati i pericoli corsi negli anni: nel 2017, tra l'altro, ha subito un attentato alla propria incolumità, ma nonostante la paura, il coraggio non s'arresta e la volontà di raccontare i fatti di rilevanza pubblica è più forte di qualsiasi timore.
Angoscia e turbamento trasudano da ogni pagina. «Lo Stato è sempre affidabile? Non sempre», dichiara in maniera asciutta Giuseppe Volpe, già procuratore capo del tribunale di Bari, il quale riconosce la professionalità di Abbate per aver anticipato le indagini della magistratura inquirente in alcuni casi celebri, come quello di Massimo Carminati, fiutando indizi significativi sui quali intervenire.
Volpe ha focalizzato l'attenzione finanche sulla mafia più pericolosa della Puglia, quella garganica che si contraddistingue per ferocia, familismo e vocazione imprenditoriale. In particolare, in questo contesto si diventa mafiosi tendenzialmente per vincoli di sangue e non per riti di affiliazione, come invece accade nel territorio barese. Inoltre, la strada maggiormente battuta è quella di intrufolarsi nelle maglie amministrative così da inquinare il tessuto sociale sin dalle alte sfere.
Il quadro dipinto è complesso e a tinte fosche. Da un lato, come sottolinea Piero Ricci, presidente dell'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ci sono taluni funzionari che tradiscono lo Stato e, dall'altro, alcuni servitori della Repubblica che vengono delegittimati.
«Nella magistratura italiana c'è grande stanchezza, evidenziandosi un più spiccato senso del compromesso e una maggiore predilezione per i reati perseguibili d'ufficio», è l'amara osservazione di Gianluca Di Feo, vicedirettore di Repubblica, che si appella ai giovani magistrati affinché la voglia di scoprire e di imparare faccia loro da guida nel lavoro.
Un pensiero viene rivolto ai premi Nobel per la pace 2021, i giornalisti dissidenti Maria Ressa e Dmitry Muratov: attestazioni di eccelsa qualità per il giornalismo svolto anche a costo della propria vita. «Voglio sottolineare l'importanza dei consorzi investigativi sulla scena internazionale, di cui per l'Italia fa parte solamente L'Espresso, coinvolto nel produrre inchieste dal respiro ultrastatale».