Migranti accampati in ospedale: gli infermieri raccolgono le firme
Marocchini e tunisini dormono nelle sale di attesa. Gli operatori chiedono maggiori tutele soprattutto di notte.
martedì 10 novembre 2015
9.32
Anche quest'anno l'ospedale "Sarcone" di Terlizzi è diventato luogo di riparo serale e notturno per decine di migranti. Tunisisi, marocchini, ma anche bengalesi, tutti uomini, giovani, per lo più intorno ai 20-30 anni, arrivati a inizio novembre per la campagna olivicola. Quaranta euro per lavorare in campagna dalle 6.30 alle 12.30, sei ore per quaranta euro. Non ci sono donne.
Quasi tutti sono in regola e soprattutto non tutti hanno una casa dove andare a mangiare e a dormire. Anzi, quasi nessuno. E allora scelgono l'ospedale, quando non case diroccate in campagna. Si rifiugiano nella sala d'attesa del nosocomio terlizzese. Li trovi già all'ingresso mentre caricano i loro telefonini attaccandoli a una presa in un corridoio a ridosso del pronto soccorso. Usano il bagno, riempiono d'acqua le bottiglie, fanno un po' come se stanno a casa loro.
In prima serata arrivano alla spicciolata. Intorno alle 19 la maggior parte di loro è a Casa Betania per la cena. Alcuni mangiano nel giardino esterno. Una piazza e una birra. I resti sono ancora a terra. Più tardi arrivano altri per dormire, soprattutto quando fuori fa freddo o è umido. Li incontriamo nell'androne principale del "Sarcone". Tra di loro un po' di perplessità, credono siamo della polizia. Poi sorridono, si raccontano, sono tranquilli, nessun pericolo: "L'Italia è finita" ci dice Youssef "non c'è lavoro da nessuna parte. Appena potrò me ne tornerò in Marocco: ero venuto qui per lavorare, non per sopravvivere". Youssef sta già da anni in Italia, gira da nord a sud come un bracciante pendolare dei tempi d'oggi, ha il permesso di soggiorno. "I padroni — ci racconta — ci assicurano per un solo giorno. Niente contributi, niente diritto alla disoccupazione. Se arrivano i controlli, dicono sempre che è il primo giorno che stiamo lavorando". Youssef ci confessa che qualcuno di loro la notte beve un po' troppo e magari è un po' troppo rumoroso, rischia di dare qualche fastidio.
Alcuni infermieri hanno organizzato una raccolta firme per chiedere maggiori tutele e garanzie. Soprattutto le donne che fanno il turno di notte hanno paura. La petizione sarà presentata alla direzione sanitaria. Ma ci sono anche operatori sanitari che fanno finta di niente, non rinunciano ad aiutare questi ragazzi. In attesa che aprano le porte di Casa de Napoli.
Quasi tutti sono in regola e soprattutto non tutti hanno una casa dove andare a mangiare e a dormire. Anzi, quasi nessuno. E allora scelgono l'ospedale, quando non case diroccate in campagna. Si rifiugiano nella sala d'attesa del nosocomio terlizzese. Li trovi già all'ingresso mentre caricano i loro telefonini attaccandoli a una presa in un corridoio a ridosso del pronto soccorso. Usano il bagno, riempiono d'acqua le bottiglie, fanno un po' come se stanno a casa loro.
In prima serata arrivano alla spicciolata. Intorno alle 19 la maggior parte di loro è a Casa Betania per la cena. Alcuni mangiano nel giardino esterno. Una piazza e una birra. I resti sono ancora a terra. Più tardi arrivano altri per dormire, soprattutto quando fuori fa freddo o è umido. Li incontriamo nell'androne principale del "Sarcone". Tra di loro un po' di perplessità, credono siamo della polizia. Poi sorridono, si raccontano, sono tranquilli, nessun pericolo: "L'Italia è finita" ci dice Youssef "non c'è lavoro da nessuna parte. Appena potrò me ne tornerò in Marocco: ero venuto qui per lavorare, non per sopravvivere". Youssef sta già da anni in Italia, gira da nord a sud come un bracciante pendolare dei tempi d'oggi, ha il permesso di soggiorno. "I padroni — ci racconta — ci assicurano per un solo giorno. Niente contributi, niente diritto alla disoccupazione. Se arrivano i controlli, dicono sempre che è il primo giorno che stiamo lavorando". Youssef ci confessa che qualcuno di loro la notte beve un po' troppo e magari è un po' troppo rumoroso, rischia di dare qualche fastidio.
Alcuni infermieri hanno organizzato una raccolta firme per chiedere maggiori tutele e garanzie. Soprattutto le donne che fanno il turno di notte hanno paura. La petizione sarà presentata alla direzione sanitaria. Ma ci sono anche operatori sanitari che fanno finta di niente, non rinunciano ad aiutare questi ragazzi. In attesa che aprano le porte di Casa de Napoli.