«Non si pieghi la memoria di don Pietro Pappagallo»
Renato Brucoli: la posizione del "Fronte dei Ribelli" «mi pare pretestuosa, confusa, ondivaga e disinformata»
mercoledì 18 luglio 2018
6.25
di Renato Brucoli
Da custode della memoria storica riferita alla meravigliosa figura di don Pietro Pappagallo, mi permetto di commentare la nota diffusa online dal "Fronte dei ribelli", con cui gli aderenti a questa formazione estremista, contrastando la generale soddisfazione registrata nell'opinione pubblica per l'attribuzione del titolo di "Giusto tra le nazioni" a don Pietro Pappagallo, chiedono alla famiglia di rifiutare il riconoscimento in quanto conferito dallo Stato d'Israele.
Pretestuosa in quanto a finalità. Perché decentra l'attenzione dalla figura di don Pietro alla politica attuale dello Stato d'Israele che rilascia l'onorificenza.
Confusa in quanto a conoscenza storica. Perché non tiene conto del fatto che il titolo di "Giusto tra le nazioni" è riferito esclusivamente al periodo storico in cui si consuma la Shoah, e l'onorificenza viene attribuita a chi ha acceso un fascio di luce in quel buio. Non è il Governo dello Stato d'Israele a deliberarla, ma un qualificato gruppo di storici e giuristi che operano presso lo Yad Vashem di Gerusalemme, il Memoriale dell'Olocausto, secondo principi istitutivi fissati con legge del 1953 e da allora rimasti immutati.
Ondivaga in quanto a intento polemico. Perché in poche righe di comunicato, l'oggetto del contendere muta diverse volte: ora è lo Stato d'Israele per la politica di aggressione al popolo Palestinese, ora è il sindaco Gemmato che "non boicotta i prodotti con il codice a barre 729", ora è il mondo dell'informazione incapace di frantumare il "silenzio mediatico assordante" che favorisce "l'assedio nella striscia di Gaza", ora si diluisce in un generico appello alla resistenza... in quanto "c'è sempre qualcosa a cui bisogna resistere".
Disinformata in quanto a destinatario. Perché rivolta "al nipote di don Pietro Pappagallo" con cui il Fronte identifica "la famiglia", ignorando che don Pietro di nipoti ne ha tre, di pronipoti alcune decine, e un novero di discendenti ancora più vasto a comporre la famiglia attuale.
Intendo aggiungere che il messaggio umano, religioso e sociale di don Pietro Pappagallo – inequivocabile in quanto pagato "a caro prezzo" con la stessa vita, cioè secondo modalità ben diverse da un comodo lancio mediatico – è di monito ancora oggi per qualsiasi Stato, per qualsiasi ambito ecclesiale, qualsiasi istituzione civile e formazione politica.
È un messaggio di pace, di ripudio della guerra in ogni forma (guerra guerreggiata, di matrice ideologica, di destra, di centro, di sinistra, razziale, economica, coloniale, di religione...).
È un messaggio di fratellanza universale, di rispetto della dignità umana a prescindere da ogni differenza.
È un messaggio di ricerca operosa della giustizia sociale e di tutela della libertà individuale e collettiva come valore civile supremo: "Pane e cipolla e santa libertà" ha scritto, nero su bianco, su una cartolina postale, durante il fascismo.
È espressione di oblatività sacerdotale.
La questione israelo-palestinese, allora, chiede sicuramente una risoluzione alla comunità internazionale, ma altrettanto sicuramente questa non deriva da strumentalizzazioni locali. Tanto più che l'esemplarità di don Pietro, assurta a livello universale, è ormai un ottimo paradigma da offrire, anche all'odierno Stato d'Israele, come a qualsiasi altro Stato e a qualsiasi altro popolo, compreso il nostro, per vincere ogni forma di violenza alla persona e ai popoli.
L'esemplarità di don Pietro, negata 74 anni fa dalla ferocia nazista alle Fosse Ardeatine, è ancora viva e feconda e forse per questo scomoda. L'umanità di don Pietro, concreta e generosa, vasta e profonda quanto il suo martirio, e la sua tensione eucaristica scavalcano atleticamente le nostre aridità e quelle altrui.
Don Pietro, ribelle per amore, è più avanti di tutti; di anni luce, è più avanti.
Da custode della memoria storica riferita alla meravigliosa figura di don Pietro Pappagallo, mi permetto di commentare la nota diffusa online dal "Fronte dei ribelli", con cui gli aderenti a questa formazione estremista, contrastando la generale soddisfazione registrata nell'opinione pubblica per l'attribuzione del titolo di "Giusto tra le nazioni" a don Pietro Pappagallo, chiedono alla famiglia di rifiutare il riconoscimento in quanto conferito dallo Stato d'Israele.
Pretestuosa in quanto a finalità. Perché decentra l'attenzione dalla figura di don Pietro alla politica attuale dello Stato d'Israele che rilascia l'onorificenza.
Confusa in quanto a conoscenza storica. Perché non tiene conto del fatto che il titolo di "Giusto tra le nazioni" è riferito esclusivamente al periodo storico in cui si consuma la Shoah, e l'onorificenza viene attribuita a chi ha acceso un fascio di luce in quel buio. Non è il Governo dello Stato d'Israele a deliberarla, ma un qualificato gruppo di storici e giuristi che operano presso lo Yad Vashem di Gerusalemme, il Memoriale dell'Olocausto, secondo principi istitutivi fissati con legge del 1953 e da allora rimasti immutati.
Ondivaga in quanto a intento polemico. Perché in poche righe di comunicato, l'oggetto del contendere muta diverse volte: ora è lo Stato d'Israele per la politica di aggressione al popolo Palestinese, ora è il sindaco Gemmato che "non boicotta i prodotti con il codice a barre 729", ora è il mondo dell'informazione incapace di frantumare il "silenzio mediatico assordante" che favorisce "l'assedio nella striscia di Gaza", ora si diluisce in un generico appello alla resistenza... in quanto "c'è sempre qualcosa a cui bisogna resistere".
Disinformata in quanto a destinatario. Perché rivolta "al nipote di don Pietro Pappagallo" con cui il Fronte identifica "la famiglia", ignorando che don Pietro di nipoti ne ha tre, di pronipoti alcune decine, e un novero di discendenti ancora più vasto a comporre la famiglia attuale.
Intendo aggiungere che il messaggio umano, religioso e sociale di don Pietro Pappagallo – inequivocabile in quanto pagato "a caro prezzo" con la stessa vita, cioè secondo modalità ben diverse da un comodo lancio mediatico – è di monito ancora oggi per qualsiasi Stato, per qualsiasi ambito ecclesiale, qualsiasi istituzione civile e formazione politica.
È un messaggio di pace, di ripudio della guerra in ogni forma (guerra guerreggiata, di matrice ideologica, di destra, di centro, di sinistra, razziale, economica, coloniale, di religione...).
È un messaggio di fratellanza universale, di rispetto della dignità umana a prescindere da ogni differenza.
È un messaggio di ricerca operosa della giustizia sociale e di tutela della libertà individuale e collettiva come valore civile supremo: "Pane e cipolla e santa libertà" ha scritto, nero su bianco, su una cartolina postale, durante il fascismo.
È espressione di oblatività sacerdotale.
La questione israelo-palestinese, allora, chiede sicuramente una risoluzione alla comunità internazionale, ma altrettanto sicuramente questa non deriva da strumentalizzazioni locali. Tanto più che l'esemplarità di don Pietro, assurta a livello universale, è ormai un ottimo paradigma da offrire, anche all'odierno Stato d'Israele, come a qualsiasi altro Stato e a qualsiasi altro popolo, compreso il nostro, per vincere ogni forma di violenza alla persona e ai popoli.
L'esemplarità di don Pietro, negata 74 anni fa dalla ferocia nazista alle Fosse Ardeatine, è ancora viva e feconda e forse per questo scomoda. L'umanità di don Pietro, concreta e generosa, vasta e profonda quanto il suo martirio, e la sua tensione eucaristica scavalcano atleticamente le nostre aridità e quelle altrui.
Don Pietro, ribelle per amore, è più avanti di tutti; di anni luce, è più avanti.