Peppino Impastato come don Pietro Pappagallo: a Terlizzi si parla di legalità
Al via la quinta edizione del "Festival per la legalità"
giovedì 30 giugno 2016
18.44
Serata d'apertura del "Festival per la legalità", organizzato da Città Civile presso il chiostro delle Clarisse. Giunto alla sua V edizione, l'evento aveva come ospiti Lunetta Savino, attrice protagonista della fiction di Rai 1 "In ricordo di Felicia Impastato", del registra Gianfranco Albano e del produttore Matteo Levi.
La kermesse «si propone come una rassegna di testimoni che raccontano la legalità secondo le proprie esperienze», ha spiegato Michele Cagnetta, consigliere del movimento civico. Attraverso la figura di Peppino Impastato, si descrive un territorio siciliano per troppo tempo martoriato dalla mafia locale e dalla politica corrotta, le quali sono state combattute con una satira incalzante e dirompente, ridicolizzando il boss del paese di Cinisi, nonché i «custodi della cosa pubblica».
In Peppino Impastato, assassinato il 9 maggio del 1978 per aver esplicato un'intensa attività politico-culturale contro i reiterati delitti di Cosa Nostra, si scorge un solido legame con il nostro compianto Don Pietro Pappagallo: entrambi, infatti, hanno condotto con instancabile perseveranza e audacia una temeraria resistenza, cioè una lotta a favore dei diritti umani.
Anche la mafia ha un suo codice valoriale con regole di stampo criminale, ma «ciò che fa della legalità un valore istituzionale è il rispetto dei diritti umani, così come sono enunciati all'articolo 2 della nostra Costituzione», ha affermato Pasquale Vitagliano, esponente di Città Civile. «Nella fiction della Rai non si ravvisa alcuna estetica del dolore; anzi, è un film sul riscatto etico ed individuale all'interno di un contesto sociale omertoso che tende ad opprimere la personalità».
Gianfranco Albano, regista de "In ricordo di Felicia Impastato", ha svolto, insieme a Lunetta Savino, numerosi studi per offrire agli spettatori non una copia sbiadita della mamma tenace di Peppino, ma al contrario un personaggio forte, con le sue intrinseche peculiarità, senza cadere nella «trappola degli stereotipi e del sentimentalismo che invece si fossilizzano sulla speculazione del dolore».
Il regista spiega che le riprese del film hanno richiesto ritmi serrati di lavoro: «Abbiamo girato nel cuore di Cinisi ininterrottamente per due settimane per circa 10 ore al giorno, con 40 gradi all'ombra». L'ansia di essere all'altezza delle aspettative ha accompagnato continuamente il regista e il suo staff, non solo per ricompensare la fiducia riposta dalla stessa famiglia Impastato, ma anche per consegnare alla Rai un prodotto di qualità che stimoli l'interesse dello spettatore e lo induca a riflessione.
«La Rai rischia di rinunciare al suo mandato, cioè il servizio pubblico, in virtù di una logica prettamente aziendalistica. Eppure i 7 milioni di italiani che hanno visto il film dimostrano che c'è spazio per la cultura e la trattazione di temi delicati e di attualità».
Lunetta Savino, protagonista assoluta della fiction, si è immedesimata con grande professionalità nel ruolo di Felicia Bartolotta regalando un'interpretazione avvincente. Felicia era moglie di un mafioso e madre di un anti-mafioso. Quando suo figlio Peppino venne ucciso, non si chiuse in casa piangente a meditare vendetta. Lei cercò giustizia in tribunale e aspettò moltissimi anni prima che il mandante dell'omicidio, Gaetano Badalamenti, fosse condannato all'ergastolo nel 2002.
«Nonostante Felicia fosse una donna poco colta, guardava dritto in faccia i suoi interlocutori mafiosi. È stata una donna determinata nel voler preservare la memoria del figlio, parlando della sua storia e trasformando la sua dimora in una "casa memoria" aperta al pubblico. La mafia si combatte con le parole, non con le pistole. Ha ottenuto giustizia non arrendendosi al silenzio e all'isolamento in cui l'avevano circoscritta i suoi compaesani».
Al termine della serata, sono stati consegnati a Lunetta Savino e Gianfranco Albano il "Premio città di Terlizzi" conferito dall'UNPLI – Pro Loco di Terlizzi.
La kermesse «si propone come una rassegna di testimoni che raccontano la legalità secondo le proprie esperienze», ha spiegato Michele Cagnetta, consigliere del movimento civico. Attraverso la figura di Peppino Impastato, si descrive un territorio siciliano per troppo tempo martoriato dalla mafia locale e dalla politica corrotta, le quali sono state combattute con una satira incalzante e dirompente, ridicolizzando il boss del paese di Cinisi, nonché i «custodi della cosa pubblica».
In Peppino Impastato, assassinato il 9 maggio del 1978 per aver esplicato un'intensa attività politico-culturale contro i reiterati delitti di Cosa Nostra, si scorge un solido legame con il nostro compianto Don Pietro Pappagallo: entrambi, infatti, hanno condotto con instancabile perseveranza e audacia una temeraria resistenza, cioè una lotta a favore dei diritti umani.
Anche la mafia ha un suo codice valoriale con regole di stampo criminale, ma «ciò che fa della legalità un valore istituzionale è il rispetto dei diritti umani, così come sono enunciati all'articolo 2 della nostra Costituzione», ha affermato Pasquale Vitagliano, esponente di Città Civile. «Nella fiction della Rai non si ravvisa alcuna estetica del dolore; anzi, è un film sul riscatto etico ed individuale all'interno di un contesto sociale omertoso che tende ad opprimere la personalità».
Gianfranco Albano, regista de "In ricordo di Felicia Impastato", ha svolto, insieme a Lunetta Savino, numerosi studi per offrire agli spettatori non una copia sbiadita della mamma tenace di Peppino, ma al contrario un personaggio forte, con le sue intrinseche peculiarità, senza cadere nella «trappola degli stereotipi e del sentimentalismo che invece si fossilizzano sulla speculazione del dolore».
Il regista spiega che le riprese del film hanno richiesto ritmi serrati di lavoro: «Abbiamo girato nel cuore di Cinisi ininterrottamente per due settimane per circa 10 ore al giorno, con 40 gradi all'ombra». L'ansia di essere all'altezza delle aspettative ha accompagnato continuamente il regista e il suo staff, non solo per ricompensare la fiducia riposta dalla stessa famiglia Impastato, ma anche per consegnare alla Rai un prodotto di qualità che stimoli l'interesse dello spettatore e lo induca a riflessione.
«La Rai rischia di rinunciare al suo mandato, cioè il servizio pubblico, in virtù di una logica prettamente aziendalistica. Eppure i 7 milioni di italiani che hanno visto il film dimostrano che c'è spazio per la cultura e la trattazione di temi delicati e di attualità».
Lunetta Savino, protagonista assoluta della fiction, si è immedesimata con grande professionalità nel ruolo di Felicia Bartolotta regalando un'interpretazione avvincente. Felicia era moglie di un mafioso e madre di un anti-mafioso. Quando suo figlio Peppino venne ucciso, non si chiuse in casa piangente a meditare vendetta. Lei cercò giustizia in tribunale e aspettò moltissimi anni prima che il mandante dell'omicidio, Gaetano Badalamenti, fosse condannato all'ergastolo nel 2002.
«Nonostante Felicia fosse una donna poco colta, guardava dritto in faccia i suoi interlocutori mafiosi. È stata una donna determinata nel voler preservare la memoria del figlio, parlando della sua storia e trasformando la sua dimora in una "casa memoria" aperta al pubblico. La mafia si combatte con le parole, non con le pistole. Ha ottenuto giustizia non arrendendosi al silenzio e all'isolamento in cui l'avevano circoscritta i suoi compaesani».
Al termine della serata, sono stati consegnati a Lunetta Savino e Gianfranco Albano il "Premio città di Terlizzi" conferito dall'UNPLI – Pro Loco di Terlizzi.