Pienone per Vittorio Sgarbi al Chiostro delle clarisse
Il celebre critico d'arte si è raccontato a tutto tondo
sabato 2 settembre 2023
1.35
Una personalità egotica, ingombrante, irriverente, pungente. Vittorio Sgarbi ha fatto tappa a Terlizzi, ieri sera, 1° settembre, appassionando il pubblico del Chiostro delle Clarisse che ha partecipato in maniera massiva, esaurendo i posti a sedere e quelli in piedi. Può ritenersi più che soddisfatta l'associazione "Terlizzi E'xperience" per aver celebrato la bellezza in maniera pregevole con uno dei celeberrimi cultori dell'arte nel panorama italiano.
Pungolato da un arguto Francesco Melchionda, autore di "Perfide interviste", Sgarbi si è prestato a raccontarsi in modo versatile, spaziando in diversi campi della sua vita, alternando toni ironici e sarcastici a note più sobrie e riflessive. In un ascensore di battute ficcanti e osservazioni acute, il professore e onorevole ha tenuto la scena con un savoir-faire fascinoso e impeccabile.
Il dialogo frizzantino è partito dalle radici della famiglia: una mamma forte ed energica, un papà contemplativo, una sorella che ha vissuto nell'ammirazione del fratello, il letterato zio Bruno che gli ha impartito preziosi insegnamenti sui libri. Al centro soprattutto le figure femminili. Il temperamento materno era rivoltoso e positivo, autoritario e di supporto. La sorella Elisabetta, invece, per molto tempo si è sentita nell'ombra, ma con gli anni si è fortificata, sfidando lo stesso Vittorio negli ambiti lavorativi, come festival letterari e cinematografici. «I miei genitori mi hanno sempre sostenuto. Ho regalato loro grandi soddisfazioni», si apre a cuore aperto Sgarbi a una platea tutt'orecchi, «Mia sorella continua a interloquire con loro, anche se sono scomparsi, leggendo i miei articoli. È un rituale molto intenso da parte di chi non sopporta che i genitori siano altrove».
Non si è sottratto, dunque, a fare cenni intimi alla sua dimensione privata, descrivendo anche la sua personale concezione sul coniugio e il rapporto meraviglioso che coltiva con i figli, nonostante le ammissioni di colpa per essere stato poco presente. «Ogni matrimonio è un delitto», afferma con nonchalance e con la consapevolezza di atteggiarsi talvolta a prepotente, «Come padre sono stato pessimo. Spesso sono stato assente con i miei figli, ma in compenso non ho disturbato. Posso vantare, però, di aver raccolto risultati ottimi, perché sono delle persone squisite». Attualmente, più che padre, Sgarbi si sente nonno, a settantuno anni guarda i bambini come se fossero delle specie rare, cogliendo la tenerezza che i pargoli trasmettono.
Apprezzabile che Sgarbi abbia messo da parte la verve più aggressiva cui solitamente si è abituati per far emergere il suo complesso lato umano con totale naturalezza. Sente che il tempo davanti a sé si sta inesorabilmente accorciando, ma ogni sua cellula trasmette un'incessante voglia di continuare a condurre un'esistenza ricca e appagante. È un uomo poliedrico e colto: possiede duecentottantamila libri sui quali nutre l'ambizione, prima o poi, di sistemare sugli scaffali.
La sua professionalità emerge con nettezza nell'assolvere alla vocazione di critico d'arte, da cui emerge la funzione didascalica e la capacità di insegnare e alle quali si aggiungono il piacere e a scoperta. «Ho solcato questo percorso per circa cinquant'anni. I quadri sono come le persone. In ogni quadro incontro una persona, cioè il suo autore, e imparo a riconoscerlo», chiosa Sgarbi nel fornire una vera e propria lezione di storia dell'arte, «L'arte impone di andare a trovarla. Nella tela c'è l'anima dell'artista: l'artista, anche dopo la morte, persevera nel vivere con la sua anima nell'opera. È inscindibile il connubio tra corpo e anima dell'opera, quasi che fosse una relazione erotica».
Le opere d'arte sono vive e parlano di sé, ma bisogna essere muniti degli strumenti adatti per capire, i quali possono essere lasciati in eredità soltanto da bravi insegnanti. Uno sguardo oggettivo è stato rivolto anche ai falsari di qualità, che non sono del tutto da disdegnare, in quanto hanno perfezionato la vena artistica sino a poterli definire artisti. Del resto, talvolta ispirarsi e imitare è paragonabile a un procedimento a grappolo, in cui ciascuno aggiunge qualcosa a quanto realizzato in precedenza.
Quanto alla ceramica, prodotto tipico terlizzese, Sgarbi ci tiene a distinguerla dalla pittura, poiché la prima è legata a una tecnica che prevede un mestiere, mentre con la seconda il pittore può cimentarsi nel costruire provocazioni.
«La mia forza è nell'essere imprevedibile, non si sa cosa può capitare. Sono intramontabile», dichiara Sgarbi, indubbiamente istrionico, «Ho talmente un'alta considerazione di me che nessuno mi deve disturbare». Non solo critico d'arte, ma anche opinionista, collezionista, saggista e politico. Il suo ruolo consiste nell'offrire un indirizzo, occupando spazi contro il consumismo che fagocita. «L'arte non insegna niente, tranne che il senso della vita. L'arte, quale espressione di libertà, va intesa come vitalità. In essa vanno scovati non simboli da venerare, bensì modelli da seguire».
L'incontro è stato anche un'occasione per lanciare delle pillole, con un taglio piacevole e coinvolgente, su alcuni nomi del passato. Innanzitutto, è centrale la figura di Caravaggio, quale pittore che è riuscito a comunicare con le pennellate la sofferenza fisica e morale: i mali affliggono il mondo e questi ben sono trasmessi attraverso i soggetti rappresentati, le prospettive, i colori. Finanche l'accostamento di Caravaggio a Pasolini ha una sua giustificazione: laddove il primo è l'emblema della vita in azione come presa diretta, il secondo, invece, non è che un «Caravaggio redivivo». Per Sgarbi, infatti, Pasolini ha ispirato la sua esistenza all'approccio caravaggesco per la sua estrema attualità.
In un periodo storico in cui dilagano i femminicidi, non è mancato nemmeno l'omaggio ad Artemisia Gentileschi, pittrice italiana di fine Cinquecento di scuola caravaggesca. Tra i suoi dipinti ne spicca uno, in particolare, che funge da denuncia verso l'uomo che ha abusato sessualmente di lei: gli occhi di Artemisia sono minacciosi, desiderosi di riscatto verso chi le ha inferto una ferita profonda e non rimarginabile. «Le chiese sono un serbatoio del passato. L'arte antica, inoltre, non è finita, perché il passato non finisce mai. Offre scoperte e suggestioni. È il senso della caccia al tesoro, con un tocco di compiacimento e divertimento».
Sgarbi, al termine dell'evento, ha accolto senza negarsi anche aneddoti dal parterre e si è rivelato disponibile a fotografie e firmacopie del suo ultimo volume "Scoperte e rivelazioni. Caccia al tesoro dell'arte". A congedare i presenti, come si conviene a chi è tenuto agli onori di casa, sia Tiziana Veneto e Pasqua Spadone di "Terlizzi E'xperience" sia gli amministratori comunali Giampaolo Sigrisi e Angela De Chirico, i quali insieme hanno salutato il rinomato ospite con doni nostrani, tra cui il fico-fiorone mingotauro in ceramica.
La galleria fotografica è a cura di Cosma Cacciapaglia.
Pungolato da un arguto Francesco Melchionda, autore di "Perfide interviste", Sgarbi si è prestato a raccontarsi in modo versatile, spaziando in diversi campi della sua vita, alternando toni ironici e sarcastici a note più sobrie e riflessive. In un ascensore di battute ficcanti e osservazioni acute, il professore e onorevole ha tenuto la scena con un savoir-faire fascinoso e impeccabile.
Il dialogo frizzantino è partito dalle radici della famiglia: una mamma forte ed energica, un papà contemplativo, una sorella che ha vissuto nell'ammirazione del fratello, il letterato zio Bruno che gli ha impartito preziosi insegnamenti sui libri. Al centro soprattutto le figure femminili. Il temperamento materno era rivoltoso e positivo, autoritario e di supporto. La sorella Elisabetta, invece, per molto tempo si è sentita nell'ombra, ma con gli anni si è fortificata, sfidando lo stesso Vittorio negli ambiti lavorativi, come festival letterari e cinematografici. «I miei genitori mi hanno sempre sostenuto. Ho regalato loro grandi soddisfazioni», si apre a cuore aperto Sgarbi a una platea tutt'orecchi, «Mia sorella continua a interloquire con loro, anche se sono scomparsi, leggendo i miei articoli. È un rituale molto intenso da parte di chi non sopporta che i genitori siano altrove».
Non si è sottratto, dunque, a fare cenni intimi alla sua dimensione privata, descrivendo anche la sua personale concezione sul coniugio e il rapporto meraviglioso che coltiva con i figli, nonostante le ammissioni di colpa per essere stato poco presente. «Ogni matrimonio è un delitto», afferma con nonchalance e con la consapevolezza di atteggiarsi talvolta a prepotente, «Come padre sono stato pessimo. Spesso sono stato assente con i miei figli, ma in compenso non ho disturbato. Posso vantare, però, di aver raccolto risultati ottimi, perché sono delle persone squisite». Attualmente, più che padre, Sgarbi si sente nonno, a settantuno anni guarda i bambini come se fossero delle specie rare, cogliendo la tenerezza che i pargoli trasmettono.
Apprezzabile che Sgarbi abbia messo da parte la verve più aggressiva cui solitamente si è abituati per far emergere il suo complesso lato umano con totale naturalezza. Sente che il tempo davanti a sé si sta inesorabilmente accorciando, ma ogni sua cellula trasmette un'incessante voglia di continuare a condurre un'esistenza ricca e appagante. È un uomo poliedrico e colto: possiede duecentottantamila libri sui quali nutre l'ambizione, prima o poi, di sistemare sugli scaffali.
La sua professionalità emerge con nettezza nell'assolvere alla vocazione di critico d'arte, da cui emerge la funzione didascalica e la capacità di insegnare e alle quali si aggiungono il piacere e a scoperta. «Ho solcato questo percorso per circa cinquant'anni. I quadri sono come le persone. In ogni quadro incontro una persona, cioè il suo autore, e imparo a riconoscerlo», chiosa Sgarbi nel fornire una vera e propria lezione di storia dell'arte, «L'arte impone di andare a trovarla. Nella tela c'è l'anima dell'artista: l'artista, anche dopo la morte, persevera nel vivere con la sua anima nell'opera. È inscindibile il connubio tra corpo e anima dell'opera, quasi che fosse una relazione erotica».
Le opere d'arte sono vive e parlano di sé, ma bisogna essere muniti degli strumenti adatti per capire, i quali possono essere lasciati in eredità soltanto da bravi insegnanti. Uno sguardo oggettivo è stato rivolto anche ai falsari di qualità, che non sono del tutto da disdegnare, in quanto hanno perfezionato la vena artistica sino a poterli definire artisti. Del resto, talvolta ispirarsi e imitare è paragonabile a un procedimento a grappolo, in cui ciascuno aggiunge qualcosa a quanto realizzato in precedenza.
Quanto alla ceramica, prodotto tipico terlizzese, Sgarbi ci tiene a distinguerla dalla pittura, poiché la prima è legata a una tecnica che prevede un mestiere, mentre con la seconda il pittore può cimentarsi nel costruire provocazioni.
«La mia forza è nell'essere imprevedibile, non si sa cosa può capitare. Sono intramontabile», dichiara Sgarbi, indubbiamente istrionico, «Ho talmente un'alta considerazione di me che nessuno mi deve disturbare». Non solo critico d'arte, ma anche opinionista, collezionista, saggista e politico. Il suo ruolo consiste nell'offrire un indirizzo, occupando spazi contro il consumismo che fagocita. «L'arte non insegna niente, tranne che il senso della vita. L'arte, quale espressione di libertà, va intesa come vitalità. In essa vanno scovati non simboli da venerare, bensì modelli da seguire».
L'incontro è stato anche un'occasione per lanciare delle pillole, con un taglio piacevole e coinvolgente, su alcuni nomi del passato. Innanzitutto, è centrale la figura di Caravaggio, quale pittore che è riuscito a comunicare con le pennellate la sofferenza fisica e morale: i mali affliggono il mondo e questi ben sono trasmessi attraverso i soggetti rappresentati, le prospettive, i colori. Finanche l'accostamento di Caravaggio a Pasolini ha una sua giustificazione: laddove il primo è l'emblema della vita in azione come presa diretta, il secondo, invece, non è che un «Caravaggio redivivo». Per Sgarbi, infatti, Pasolini ha ispirato la sua esistenza all'approccio caravaggesco per la sua estrema attualità.
In un periodo storico in cui dilagano i femminicidi, non è mancato nemmeno l'omaggio ad Artemisia Gentileschi, pittrice italiana di fine Cinquecento di scuola caravaggesca. Tra i suoi dipinti ne spicca uno, in particolare, che funge da denuncia verso l'uomo che ha abusato sessualmente di lei: gli occhi di Artemisia sono minacciosi, desiderosi di riscatto verso chi le ha inferto una ferita profonda e non rimarginabile. «Le chiese sono un serbatoio del passato. L'arte antica, inoltre, non è finita, perché il passato non finisce mai. Offre scoperte e suggestioni. È il senso della caccia al tesoro, con un tocco di compiacimento e divertimento».
Sgarbi, al termine dell'evento, ha accolto senza negarsi anche aneddoti dal parterre e si è rivelato disponibile a fotografie e firmacopie del suo ultimo volume "Scoperte e rivelazioni. Caccia al tesoro dell'arte". A congedare i presenti, come si conviene a chi è tenuto agli onori di casa, sia Tiziana Veneto e Pasqua Spadone di "Terlizzi E'xperience" sia gli amministratori comunali Giampaolo Sigrisi e Angela De Chirico, i quali insieme hanno salutato il rinomato ospite con doni nostrani, tra cui il fico-fiorone mingotauro in ceramica.
La galleria fotografica è a cura di Cosma Cacciapaglia.