Terminata l'odissea di Michele e Nicolò de Chirico: finalmente a casa dopo più di due mesi in Colombia

I due giovani terlizzesi sono tornati in Italia lo scorso 29 aprile attraverso un volo dall'Ecuador

sabato 2 maggio 2020
A cura di Vincenza Urbano
Si è fortunatamente conclusa con il lieto fine l'odissea di due giovanissimi terlizzesi che hanno affrontato numerose difficoltà per poter tornare in Italia dopo un soggiorno di piacere in Colombia. Michele e Nicolò de Chirico, entrambi di ventuno anni, sono atterrati sul suolo italiano solo qualche giorno fa, il 29 aprile, nonostante avessero programmato il rientro per il 17 marzo.

La vacanza dei due amici sarebbe dovuta durare solo un mese, a partire dal 17 febbraio, e invece la permanenza in Sud America si è malauguratamente protratta per quasi un altro mese e mezzo. «Un paio di giorni prima del rientro, abbiamo ricevuto un'e-mail da parte della compagnia aerea che annunciava la cancellazione del nostro volo», raccontano a TerlizziViva i ragazzi, «Come prima cosa abbiamo contattato l'agenzia viaggi per accertarci se ci fosse qualche altro modo per tornare. Però non c'erano alternative».

Innumerevoli i tentativi di Michele e Nicolò di mettersi in contatto con l'ambasciata italiana, sita a Bogotà. Non è stato affatto semplice comunicare con le istituzioni. Fino a metà marzo, inoltre, in Colombia il Coronavirus non costituiva ancora un problema, nessuna preoccupazione aleggiava nell'aria e la vita fluiva normalmente.

L'ambasciata italiana, tuttavia, ha fornito una prima soluzione per giungere in Italia attraverso degli scali: recarsi all'aeroporto colombiano, prendere un qualsiasi volo per l'Europa e una volta giunti in uno degli Stati europei di destinazione, rivolgersi all'ambasciata di riferimento per provvedere al rimpatrio nel Belpaese. Insomma, una sorta di scaricabarile.

Queste e altre complicazioni hanno fatto desistere i due terlizzesi dal lasciare la Colombia in maniera così improvvida. Successivamente, verso la fine di marzo, anche la Colombia ha adottato le misure precauzionali della quarantena. «Siamo estremamente grati a Pasquale de Palma, zio di Nicolò, e a sua moglie Ana Maria che ci hanno ospitato magnificamente durante l'isolamento, non facendoci mancare nulla».

La solidarietà familiare ha attenuato la frustrazione di Michele e Nicolò che dopo più di un mese lontani da casa, hanno cominciato ad avvertire la mancanza degli affetti e delle attività tipiche che svolgono in Italia, come gli studi universitari. Michele, tuttavia, studente di Marketing e Comunicazione a Bari, con tanta pazienza è riuscito finanche a preparare un esame e a sostenerlo telematicamente.

Dopo pressanti richieste da parte di moltissime persone, l'ambasciata italiana della Colombia è riuscita a organizzare un volo di rientro in Italia attraverso l'Ecuador. Per Michele e Nicolò si è trattato di un viaggio pesante, non solo dal punto di vista economico, dato che è venuto a costare più di mille euro, ma anche sotto il profilo logistico.

Prima circa sette ore in taxi per raggiungere Bogotà dalla cittadina in cui hanno dimorato per più di due mesi; dopo il viaggio in aereo durato più o meno una giornata. «Siamo molto contenti di aver messo piede nella nostra terra», affermano con un sospiro di sollievo, anche se denunciano la poca attenzione riservata loro dalle autorità di competenza.

«Non ci siamo sentiti tutelati abbastanza dallo Stato italiano: all'inizio, le risposte alle nostre richieste di aiuto sono state alquanto evasive, il volo di rimpatrio è stato reso possibile dopo più di un mese e mezzo dall'emergenza, tra l'altro con poco preavviso. Non tutti gli italiani hanno avuto la possibilità di comprare un biglietto, noi siamo stati fortunati a poterlo acquistare, in quanto c'era una sorta di lista di attesa».

Adesso Michele e Nicolò trascorreranno due settimane in isolamento fiduciario, proseguendo la loro convivenza insieme. In maniera coscienziosa, infatti, hanno preferito non tornare nelle rispettive abitazioni per non mettere a repentaglio la salute delle proprie famiglie. «Non vogliamo rischiare di contagiare i nostri familiari nel caso ci fossimo infettati: durante il tragitto di ritorno, le norme anti-Covid non sono state rispettate ovunque».