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Attualità

Buona la prima del Festival per la Legalità dedicata a Rosario Livatino "Martire civile"

Pieno il Chiostro delle Clarisse, pubblico non solo da Terlizzi

Molto bene per la prima serata del Festival per la legalità. Nonostante il tempo incerto, il pubblico è accorso incuriosito ad assistere all'appuntamento di apertura dedicato a Rosario Livatino, il giudice ragazzino ammazzato dalla Stidda di Agrigento ormai ventinove anni fa. Ancora una volta, il Festival per la Legalità conferma di essere un evento molto apprezzato non solo dai terlizzesi, ma anche dai cittadini limitrofi, giungendo da Molfetta e da Bari, ad esempio.

Otto anni di successi per Città Civile che puntualmente cura la kermesse in maniera dettagliata, riservando la scena a ospiti trasversali in grado di arricchire la platea con le storie di "eroi borghesi", che si rendono portavoce dei valori di legalità e giustizia.

Ieri sera è stata celebrata la vita di Rosario Livatino, non di certo la sua tragica scomparsa. La sua morte, anzi, è stata consacrata come quella di un «martire civile», come spiega Don Giuseppe Livatino, lontano parente del magistrato, nonché postulatore della causa di beatificazione. «Il termine martire significa testimone. Rosario con la sua vita ha testimoniato che è possibile un diverso modo di vivere, opponendosi alle scelleratezze mafiose in un territorio difficile qual è quello siciliano». Una breve esistenza quella di Rosario, brutalmente zittito alla soglia dei suoi 38 anni, il 21 settembre 1990, con un colpo di pistola sparato tra il naso e la bocca, inferto proprio come segno di tacere.

L'esigenza di renderlo "Santo" parte proprio dalla necessità di elevare spiritualmente le azioni compiute in vita e di consacrarle definitivamente. Rosario coniugava la coscienza civica con la profonda fede religiosa. Ogni mattina, prima di recarsi in Tribunale, era solito rivolgere parole a Dio nella vicina chiesa di San Giuseppe; in maniera compassionevole, pregava per i pregiudicati uccisi, perché erano fratelli cristiani incontrati nella sventura.

Dodici anni di attività votati a "Fede e Diritto". Sulle sue agende di lavoro, riportava la sigla "S.T.D.", "Sub tutela dei", ovvero sotto la tutela di Dio. Perché, nel suo ruolo di giudice, potesse applicare la legge sotto lo sguardo vigile di Dio.

Rosario Livatino è stata una «persona mite, dal carattere pacato, ma ferma e decisa nel suo lavoro, pronta a contrastare la violenza con il diritto», commenta Roberto Rossi, procuratore aggiunto a Bari, «fare il giudice è un lavoro normale. Livatino non ha fatto nulla di straordinario se non quello che rientrava nelle sue competenze, ovvero esercitare la giustizia».

Una sorta di «banalità del bene», della quale troppo spesso ci meravigliamo perché, con i tempi che corrono, ci stiamo abituando a una deriva culturale fatta di soprusi e aggressività, nelle azioni così come nelle parole. Uno dei temi ad oggi al centro del dibattito è quello della figura del "Magistrato-Parlamentare", ovvero del magistrato che sospende la sua carriera per occuparsi di politica e, successivamente, una volta terminato il mandato, ritorna in Tribunale. «L'importante è che chiunque svolga una funzione pubblica lo faccia con onore», afferma il dott. Rossi, «la politica consiste nel perseguimento de bene comune e nell'esser protesi verso gli altri».

Un contributo significativo è stato apportato anche da Roberto Campanelli, membro della segreteria di Libera Puglia, secondo cui è sempre importante «fare memoria viva attraverso piccoli gesti». La società civile, infatti, contrasta l'agire mafioso con la semplicità del quotidiano: intitolando strade, rioccupando territori confiscati alla mafia, restituendo ai concittadini il maltolto dalla malavita.

Prossimo appuntamento per mercoledì 8 maggio, in cui sarà super-ospite Fiammetta Borsellino, terzogenita del magistrato Paolo Borsellino, assassinato il 19 luglio 1992 insieme a cinque uomini della scorta.
foto di gruppopubblico
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