Cronaca
Claudia De Chirico, inchiesta riaperta sulla morte: «Non fu suicidio nel sottopasso di via Mazzini»
Un suicidio o un giallo ancora tutto da svelare? La risposta si attende dalle nuove indagini disposte dalla Procura di Trani
Terlizzi - giovedì 10 ottobre 2019
18.58
«Enorme perplessità sulla dinamica del fatto». Il caso della morte di Claudia De Chirico, la 24enne trovata cadavere sulle scalinate di servizio del sottopasso di via Mazzini, a Terlizzi, all'alba del 22 dicembre 2016, «non può essere archiviato come suicidio».
Sono le frasi con cui il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani, Maria Grazia Caserta, ha chiesto la riapertura dell'inchiesta sulla morte di Claudia De Chirico, ordinando a Simona Merra, pubblico ministero a Trani - che ha indagato per l'ipotesi di istigazione al suicidio il compagno della giovane, un 30enne di Molfetta, difeso dall'avvocato Francesco Montingelli - ulteriori indagini e di procedere ad una consulenza che ricostruisca la dinamica dei fatti.
A quasi 3 anni di distanza, dunque, è stata messa in discussione la tesi secondo cui la 24enne di Terlizzi si sarebbe uccisa da solo. I familiari della giovane, difesi dagli avvocati Bepi Maralfa e Loredana Visaggio, non hanno mai creduto all'ipotesi del suicidio, avevano chiesto che fosse fatta verità e giustizia e perciò si sono opposti alla richiesta di archiviazione del fascicolo formulata dal sostituto procuratore di Trani, Simona Merra.
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani, Maria Grazia Caserta, ha ordinato lo svolgimento di ulteriori indagini, da compiersi nei prossimi 3 mesi, ed una consulenza tecnica: in particolare se con un cavetto caricabatterie attorcigliato due volte attorno al collo e nelle condizioni psicofisiche in cui si trovava la vittima, fosse possibile per le 24enne «pervenire ad impiccagione - una forma di asfissia - senza l'ausilio di uno o più soggetti».
Un modo - anche attraverso la visione delle immagini di un impianto di videosorveglianza della zona che ha ripreso, tra l'altro, gli ultimi movimenti della giovane - per far piena luce su questa vicenda, dopo anni che stavano portato le indagini sui binari morti dell'archiviazione. Ad alimentare i dubbi anche la posizione in cui fu ritrovato il corpo, legato per il collo ad una ringhiera. Secondo l'autopsia si trattò di una «impiccagione incompleta».
Il cavetto caricabatterie, inoltre, aveva una lunghezza definita «apparentemente incompatibile con una manovra suicidiaria», ma «compatibile con un intervento esterno». Lo stesso cavetto, infine, come hanno già accertato i Carabinieri, aveva tracce genetiche diverse da quelle della vittima.
Sono le frasi con cui il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani, Maria Grazia Caserta, ha chiesto la riapertura dell'inchiesta sulla morte di Claudia De Chirico, ordinando a Simona Merra, pubblico ministero a Trani - che ha indagato per l'ipotesi di istigazione al suicidio il compagno della giovane, un 30enne di Molfetta, difeso dall'avvocato Francesco Montingelli - ulteriori indagini e di procedere ad una consulenza che ricostruisca la dinamica dei fatti.
A quasi 3 anni di distanza, dunque, è stata messa in discussione la tesi secondo cui la 24enne di Terlizzi si sarebbe uccisa da solo. I familiari della giovane, difesi dagli avvocati Bepi Maralfa e Loredana Visaggio, non hanno mai creduto all'ipotesi del suicidio, avevano chiesto che fosse fatta verità e giustizia e perciò si sono opposti alla richiesta di archiviazione del fascicolo formulata dal sostituto procuratore di Trani, Simona Merra.
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani, Maria Grazia Caserta, ha ordinato lo svolgimento di ulteriori indagini, da compiersi nei prossimi 3 mesi, ed una consulenza tecnica: in particolare se con un cavetto caricabatterie attorcigliato due volte attorno al collo e nelle condizioni psicofisiche in cui si trovava la vittima, fosse possibile per le 24enne «pervenire ad impiccagione - una forma di asfissia - senza l'ausilio di uno o più soggetti».
Un modo - anche attraverso la visione delle immagini di un impianto di videosorveglianza della zona che ha ripreso, tra l'altro, gli ultimi movimenti della giovane - per far piena luce su questa vicenda, dopo anni che stavano portato le indagini sui binari morti dell'archiviazione. Ad alimentare i dubbi anche la posizione in cui fu ritrovato il corpo, legato per il collo ad una ringhiera. Secondo l'autopsia si trattò di una «impiccagione incompleta».
Il cavetto caricabatterie, inoltre, aveva una lunghezza definita «apparentemente incompatibile con una manovra suicidiaria», ma «compatibile con un intervento esterno». Lo stesso cavetto, infine, come hanno già accertato i Carabinieri, aveva tracce genetiche diverse da quelle della vittima.