Politica
Il «No» di Nicola Colaianni sul referendum costituzionale
Ieri sera il docente universitario ha spiegato le ragioni di chi è contrario al taglio dei parlamentari
Terlizzi - giovedì 10 settembre 2020
10.29
Una nutrita platea di giovani e adulti ha ascoltato attentamente le ragioni promosse ieri sera, 9 settembre, dal prof. Nicola Colaianni, e profondamente contrarie all'approvazione del referendum popolare sulla legge costituzionale di modifica agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in merito al taglio di 345 parlamentari.
«Le riforme vanno articolate all'interno di un contesto ben determinato e non vanno prese singolarmente», tuona Colaianni, ex magistrato, «Sennò si tratta di uno sfregio alla Costituzione».
Diverse le tematiche sottese al «No». Innanzitutto, emerge l'eventuale deficit democratico che potrebbe scaturirne con una conseguente poca rappresentatività in Parlamento. Secondo l'autorevole relatore, infatti, rimarrebbero fuori dalla Camera dei deputati e dal Senato non solo i partiti di minoranza, ma anche le minoranze di partito, per non parlare poi delle discriminazioni verso le regioni del Sud Italia che potrebbero registrare un numero inferiore di eletti rispetto a quelle del Nord a statuto speciale.
«La riduzione di parlamentari comporta una riduzione del dibattito politico e della democrazia», afferma Colaianni nello spiegare la sua posizione, avversa a «un uso occasionale e congiunturale della Carta Costituzionale».
Poca rilevanza, infatti, assumerebbe il risparmio netto di circa 57 milioni di euro annui, che inciderebbe in maniera irrisoria su ciascun cittadino, in maniera pari a un caffè al giorno per l'intera popolazione italiana. Tra l'altro, sostiene il docente universitario, non è detto che una cifra così cospicua, come potrebbe apparire agli occhi di un comune cittadino, possa essere investita in ambiti socialmente utili: rientrerebbe, più concretamente, nella fiscalità dello Stato per poi essere ripartita a seconda delle contingenze.
E nemmeno una possibile miglioria nell'efficienza del funzionamento delle due Camere lo convince. Per Colaianni passare dagli attuali 945 onorevoli ai potenziali 600 non è garanzia di snellimento: anzi, significherebbe oberare di maggior lavoro meno soggetti, al contrario impegnati con più pressioni nelle relative Commissioni parlamentari.
La legislazione d'urgenza è, infatti, una questione annosa: il Parlamento legifera poco, si rimanda sempre più spesso alla facoltà dell'esecutivo di emanare normative per regolare in tempi brevi materie piuttosto complesse. Ne sono un esempio i DPCM del premier Conte in periodo di pandemia da Coronavirus: essi trovano il loro fondamento in un unico decreto legge promulgato dal Governo.
A fronte dell'attuale referendum, emerge una strenua difesa dello status quo, dunque. «Bisogna orientarsi verso l'attuazione del principio di precauzione per prevenire uno svilimento del Parlamento», è il pensiero principe di Colaianni.
«Le riforme vanno articolate all'interno di un contesto ben determinato e non vanno prese singolarmente», tuona Colaianni, ex magistrato, «Sennò si tratta di uno sfregio alla Costituzione».
Diverse le tematiche sottese al «No». Innanzitutto, emerge l'eventuale deficit democratico che potrebbe scaturirne con una conseguente poca rappresentatività in Parlamento. Secondo l'autorevole relatore, infatti, rimarrebbero fuori dalla Camera dei deputati e dal Senato non solo i partiti di minoranza, ma anche le minoranze di partito, per non parlare poi delle discriminazioni verso le regioni del Sud Italia che potrebbero registrare un numero inferiore di eletti rispetto a quelle del Nord a statuto speciale.
«La riduzione di parlamentari comporta una riduzione del dibattito politico e della democrazia», afferma Colaianni nello spiegare la sua posizione, avversa a «un uso occasionale e congiunturale della Carta Costituzionale».
Poca rilevanza, infatti, assumerebbe il risparmio netto di circa 57 milioni di euro annui, che inciderebbe in maniera irrisoria su ciascun cittadino, in maniera pari a un caffè al giorno per l'intera popolazione italiana. Tra l'altro, sostiene il docente universitario, non è detto che una cifra così cospicua, come potrebbe apparire agli occhi di un comune cittadino, possa essere investita in ambiti socialmente utili: rientrerebbe, più concretamente, nella fiscalità dello Stato per poi essere ripartita a seconda delle contingenze.
E nemmeno una possibile miglioria nell'efficienza del funzionamento delle due Camere lo convince. Per Colaianni passare dagli attuali 945 onorevoli ai potenziali 600 non è garanzia di snellimento: anzi, significherebbe oberare di maggior lavoro meno soggetti, al contrario impegnati con più pressioni nelle relative Commissioni parlamentari.
La legislazione d'urgenza è, infatti, una questione annosa: il Parlamento legifera poco, si rimanda sempre più spesso alla facoltà dell'esecutivo di emanare normative per regolare in tempi brevi materie piuttosto complesse. Ne sono un esempio i DPCM del premier Conte in periodo di pandemia da Coronavirus: essi trovano il loro fondamento in un unico decreto legge promulgato dal Governo.
A fronte dell'attuale referendum, emerge una strenua difesa dello status quo, dunque. «Bisogna orientarsi verso l'attuazione del principio di precauzione per prevenire uno svilimento del Parlamento», è il pensiero principe di Colaianni.