L'uomo di Dio che chiede aiuto nella tempesta
Un anno fa l'immagine più iconica del 2020, con la preghiera di Papa Francesco in una piazza San Pietro vuota
Terlizzi - sabato 27 marzo 2021
Solo i lampeggianti delle auto della Polizia ferme sul limitare della meravigliosa piazza San Pietro. E l'uomo del Signore che mostra l'eucarestia al mondo in diretta tv. Quella è l'immagine iconica per eccellenza di tutto il periodo pandemico non solo in Italia, ma su tutta la Terra.
Era il 27 marzo 2020, quando Papa Francesco decise di pregare Dio, implorarlo di non lasciarci soli nella tempesta. Perché per lui si trattava di una tempesta e non di una guerra, come spesso si sente dire o si legge dai media. Per Bergoglio e per la Chiesa, citando anche le Scritture, questa è una lunga tempesta.
«Papa Francesco - ha scritto ieri sull'Osservatore Romano il cardinale José Tolentino de Mendonça, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa - ha compiuto un gesto di grande portata: ha riorientato la percezione rispetto alla pandemia. I primi capi di Stato a parlare si erano riferiti alla pandemia come a una guerra. Il Papa è stato il primo a parlarne come di una tempesta. Questo passaggio ha permesso di smantellare l'impulso iniziale di trovare un colpevole, accettando invece che la tempesta ci mostrasse tutti in una vulnerabilità che ci coinvolge tutti in una ricostruzione che c'impegna globalmente».
Proprio attraverso l'accettazione della nostra vulnerabilità, torniamo a rimpossessarci della nostra umanità. Grazie a quel passaggio, che in troppi hanno dato per scontato, l'uomo nella tempesta non è più un tabù da allontanare secondo gli schemi pre-confezionati della società moderna, dove la competitività sembra non lasciare spazio allo spirito. Papa Francesco ha sdoganato la fragilità, l'ha resa virtù e non qualcosa di cui vergognarsi.
Ma quell'uomo solo, sotto la pioggia, nella piazza deserta dei nostri cuori, ha rivelato anche e soprattutto che senza Cristo, senza l'Amore che lui ci concede, non possiamo nulla. Dio al centro del mondo ed il mondo sotto la sua protezione. Questo è il messaggio fortissimo che ancora riecheggia ad un anno di distanza attraverso i nostri schermi.
Un'immagine destinata a fare storia, certamente, ma non solo perché si è trattato di una prima e speriamo unica volta nell'era moderna della Chiesa di Pietro, ma perché ha finalmente ricongiunto il quotidiano e materiale con il trascendente e spirituale.
«Francesco - ha giustamente rimarcato José Tolentino de Mendonça - ha avuto la grande saggezza di abbracciare il vuoto invece di ripudiarlo, sottolineando il suo potenziale simbolico e rivelatore». Quel vuoto è lo spazio che la barca nella tempesta sta percorrendo tutt'oggi, agitata da onde impetuose che sono quelle della morte e del dolore.
Ma su quella barca - ed è questo il grande messaggio di speranza - c'è tutta l'umanità che rema nella direzione di Dio, dell'unico Salvatore che non distoglie affatto lo sguardo da noi uomini: percossi sì ma, nell'auspicio papale, finalmente uniti.
Era il 27 marzo 2020, quando Papa Francesco decise di pregare Dio, implorarlo di non lasciarci soli nella tempesta. Perché per lui si trattava di una tempesta e non di una guerra, come spesso si sente dire o si legge dai media. Per Bergoglio e per la Chiesa, citando anche le Scritture, questa è una lunga tempesta.
«Papa Francesco - ha scritto ieri sull'Osservatore Romano il cardinale José Tolentino de Mendonça, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa - ha compiuto un gesto di grande portata: ha riorientato la percezione rispetto alla pandemia. I primi capi di Stato a parlare si erano riferiti alla pandemia come a una guerra. Il Papa è stato il primo a parlarne come di una tempesta. Questo passaggio ha permesso di smantellare l'impulso iniziale di trovare un colpevole, accettando invece che la tempesta ci mostrasse tutti in una vulnerabilità che ci coinvolge tutti in una ricostruzione che c'impegna globalmente».
Proprio attraverso l'accettazione della nostra vulnerabilità, torniamo a rimpossessarci della nostra umanità. Grazie a quel passaggio, che in troppi hanno dato per scontato, l'uomo nella tempesta non è più un tabù da allontanare secondo gli schemi pre-confezionati della società moderna, dove la competitività sembra non lasciare spazio allo spirito. Papa Francesco ha sdoganato la fragilità, l'ha resa virtù e non qualcosa di cui vergognarsi.
Ma quell'uomo solo, sotto la pioggia, nella piazza deserta dei nostri cuori, ha rivelato anche e soprattutto che senza Cristo, senza l'Amore che lui ci concede, non possiamo nulla. Dio al centro del mondo ed il mondo sotto la sua protezione. Questo è il messaggio fortissimo che ancora riecheggia ad un anno di distanza attraverso i nostri schermi.
Un'immagine destinata a fare storia, certamente, ma non solo perché si è trattato di una prima e speriamo unica volta nell'era moderna della Chiesa di Pietro, ma perché ha finalmente ricongiunto il quotidiano e materiale con il trascendente e spirituale.
«Francesco - ha giustamente rimarcato José Tolentino de Mendonça - ha avuto la grande saggezza di abbracciare il vuoto invece di ripudiarlo, sottolineando il suo potenziale simbolico e rivelatore». Quel vuoto è lo spazio che la barca nella tempesta sta percorrendo tutt'oggi, agitata da onde impetuose che sono quelle della morte e del dolore.
Ma su quella barca - ed è questo il grande messaggio di speranza - c'è tutta l'umanità che rema nella direzione di Dio, dell'unico Salvatore che non distoglie affatto lo sguardo da noi uomini: percossi sì ma, nell'auspicio papale, finalmente uniti.