Nicolò e Ivan Valente
Nicolò e Ivan Valente
Cronaca

Papà Nicolò vuole giustizia per il figlio Ivan Valente

Chiesta la rimessione del processo a un giudice diverso da quello di origine. Il giovane era morto in un incidente stradale ad Olbia

A distanza di due anni dalla tragica scomparsa di suo figlio Ivan, morto in un bruttissimo incidente stradale, papà Nicolò Valente continua a portare avanti la sua battaglia in tribunale perché giustizia sia fatta. Risale, infatti, all'8 settembre 2017 il nefasto evento, quando una Ford C-Max, ad una velocità di oltre 100 Km/h, nonostante il limite consentito di 50 Km/h, si scontrava, tra Olbia e Golfo Aranci, in Sardegna, con l'Opel Corsa condotta da Ivan, deceduto poco dopo.

Ivan Valente (qui la notizia del fattaccio del 2017: https://www.terlizziviva.it/notizie/incidente-stradale-a-olbia-muore-giovane-di-origine-terlizzese/), all'epoca ventisettenne, era cresciuto a Terlizzi, sebbene dopo la scuola superiore avesse deciso di tornare in Sardegna, sua terra natia, precisamente a Olbia, per proseguire gli studi universitari e lavorare presso un'agenzia immobiliare.

Non passa giorno che Nicolò Valente non lotti strenuamente per onorare la memoria del suo unico figlio. Solamente lo scorso 8 ottobre, davanti al tribunale di Tempio Pausania, papà Nicolò è riuscito a costituirsi parte civile nei confronti dell'imputato, oggi trentottenne, perseguito per il reato di omicidio stradale.

Numerosi sono gli interrogativi cui Nicolò non riesce a fornire risposta: dal trattamento quasi di favore riservato nei confronti del reo, ai dubbi nutriti sulla buona fede dell'intero sistema giustizia dinanzi al quale sinora si è snodato il procedimento penale.

Innanzitutto, ci tiene a sottolineare che il sinistro stradale trae origine anche da un'assurda "moda" dei giovani sardi di percorrere la bretella di uscita della circonvallazione di Olbia a massima velocità, attraversando l'incrocio "al buio", per il puro piacere dell'azzardo, oppure per il futile motivo di recuperare qualche minuto sulla strada.

Valente si chiede per quale ragione gli agenti del Distaccamento della Polizia Stradale di Olbia non abbiano proceduto nell'immediatezza dell'evento al ritiro della patente di giuda del conducente della Ford C-Max, pur avendo verificato la sussistenza di alcune evidenti violazioni del codice della strada da parte dello stesso. Rileva, inoltre, come nemmeno il Comando di Polizia o gli organi superiori dell'Ente periferico del Ministero dell'Interno (Prefetto o suoi delegati) abbiano adottato alcun provvedimento cautelare della sospensione della patente di guida.

Per non parlare poi della richiesta di patteggiamento avanzata dall'imputato, condivisa dal Pubblico Ministero e accolta dal Giudice per l'udienza preliminare, determinata nella pena complessiva di due anni, due mesi e venti giorni di reclusione, senza indicare nemmeno la prevista sanzione accessoria della revoca della patente.

Da non sottovalutare, oltre a quanto già detto, neppure l'omessa notifica degli atti a Nicolò Valente, quale persona offesa dal reato, e la loro comunicazione a un avvocato di un'altra parte processuale. Questa anomalia non ha infatti permesso a Nicolò di partecipare alle prime udienze tenutesi dinanzi al GUP del Tribunale di Tempio Pausania. Errori che si aggiungono alle lungaggini burocratiche che non solo ostacolano la sete di giustizia ma che alimentano pure i vantaggi della compagnia di assicurazione.

Alla luce di un quadro processuale a tinte fosche, Nicolò con l'assistenza del suo legale di fiducia Rino Facchini, ha chiesto addirittura la rimessione del processo a un giudice diverso da quello del Tribunale di Tempio Pausania, ossia al distretto della Corte d'Appello di Roma. Auspica sia che il patteggiamento venga rigettato così da proseguire in dibattimento, sia una condanna più severa.

«Spero che ciò che è successo a me, non accada più ad altri - afferma triste Nicolò, in attesa della prossima udienza del 26 novembre -. La mia domanda è semplice: se adesso è successo a me, prima di me quanti, invece, hanno creduto nella buona fede delle figure giuridiche e istituzionali, accettando le loro scelte e senza, quindi, avere la possibilità di dare giustizia ai loro cari?».
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