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Attualità

Caporalato e vittime innocenti di mafia: successo del Festival per la Legalità

Questa sera sarà ospite Davide Vecchi, giornalista de "Il Fatto Quotidiano"

Dopo l'anteprima settembrina che ha visto ospite Gian Carlo Caselli, già magistrato del pool antimafia di Palermo, nella serata di ieri e di avantieri ha avuto ufficialmente inizio la tre giorni dedicata al Festival per la Legalità, giunto alla sua VI edizione. Caporalato e storie di vittime pugliesi di mafia gli argomenti scottanti che, per ben due ore in ciascun incontro, hanno catturato l'attenzione di una gremita biblioteca Marinelli Giovene.

Il caporalato rientra tra le attività della criminalità organizzata volte allo sfruttamento illegale e a basso costo di manodopera agricola. «Secondo le mappature effettuate sul territorio, in provincia di Bari i lavoratori sfruttati sono per lo più italiani, in quella di Foggia, invece, si concentrano gli immigrati», commenta Anna Lepore, segretario generale FLAI CGIL.

Uomini e donne, pur di lavorare, accettano per pochi euro di massacrarsi per circa undici ore di lavoro, a discapito delle sette ore previste dalla legge; non è consentito loro nemmeno portare acqua e cibo da casa, perché devono acquistare tutto in loco dai "datori di lavoro". «Molti caporali nascondono la manodopera immigrata in alcune abitazioni, a mo' di ghetti», spiega il magistrato Lorenzo Gadaleta, «sottraggono i documenti d'identità e intimano di fornire notizie false al fine di eludere i controlli da parte della legge».

Leonardo Palmisano, autore del libro "Mafia Caporale", spiega non solo come il razzismo diventi una «scusa per pagare meno e lucrare di più», ma anche che molto spesso il ruolo di caporali è rivestito da extracomunitari, nigeriani ad esempio.

Talvolta si fa sempre più labile il confine tra caporalato e riduzione in schiavitù e diventa sempre più difficile denunciare situazioni di tale degrado per il timore di subire ritorsioni. Chi ha il coraggio di esporsi e denunciare, però, riceve dallo Stato dei vantaggi considerevoli, come quello di stipulare un contratto di lavoro. «Un lavoro marchiato di legalità crea un prodotto migliore anche in termini di socialità», illustra il pubblico ministero Ettore Cardinali.

Per combattere la mafia si rende necessario anche fare memoria di tutte le atrocità commesse, ricordando chi ne è stato vittima. La «consapevolezza» del passato aiuta a creare delle «connessioni» storiche per evitare l'oblio e avere uno sguardo rivolto al futuro. Terlizzi piange il suo concittadino Gioacchino Bisceglia che, a soli venticinque anni, fu ammazzato nel 1996 senza scrupoli per un'estorsione non andata a segno. Nel 2015 una giovane mamma terlizzese se l'è cavata, fortunatamente, con una ferita alla gamba per essersi trovata sulla traiettoria di alcuni proiettili per un regolamento di conti tra due famiglie contrapposte.

"Non a caso" è il libro che racconta in quindici storie il tragico epilogo di diciotto vittime pugliesi della mafia attraverso la penna di Daniela Marcone, vicepresidente nazionale di Libera e referente del settore Memoria, e di altri scrittori italiani, alcuni dei quali non pugliesi. La mafia non uccide mai per caso. E il ricordo di ognuna delle vittime non può legarsi all'idea che sia accaduto per una pura fatalità.

Ospite d'eccezione, Sandro Ruotolo, giornalista che vive sotto scorta dopo aver ricevuto minacce da Michele Zagaria, boss dei Casalesi, a causa delle sue inchieste sul traffico di rifiuti tossici in Campania. «La mafia crea sudditanza, la cultura e la conoscenza rendono gli uomini liberi». Per rompere il muro della diffidenza, la sola indignazione non basta. «Bisogna fare rete per costruire una società antimafia e rendere possibile una rivoluzione culturale».
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