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Terlizzi col cuore ai martiri delle Fosse Ardeatine - FOTO
Commemorazione ieri mattina, 25 marzo alla presenza delle massime autorità cittadine
Terlizzi - martedì 26 marzo 2024
Terlizzi non dimentica. Terlizzi ricorda e tramanda di generazione in generazione l'insegnamento che deriva da quei fatti: mai più fascismi, mai più totalitarismi, mai più mancanza di libertà e democrazia.
Ieri mattina la celebrazione ufficiale ed il ricordo dei martiri dell'eccidio delle Fosse Ardeatine, l'uccisione di 335 civili e militari italiani, prigionieri politici, ebrei o detenuti comuni, trucidati a Roma il 24 marzo 1944 dalle truppe di occupazione tedesche come rappresaglia per l'attentato partigiano di via Rasella, compiuto il 23 marzo da membri dei GAP romani, in cui erano rimasti uccisi 33 soldati del reggimento "Bozen" appartenente alla Ordnungspolizei, la polizia tedesca. L'eccidio non fu preceduto da alcun preavviso da parte tedesca.
Tra di essi il prof. Gioacchino Gesmundo e don Pietro Pappagallo, figli di questa terra mai dimenticati, esempio di virtù democratiche ed amore per il prossimo. La cerimonia ha previsto un corteo che è partito da Palazzo di Città davanti alle massime autorità civili e militari cittadine, con la deposizione di corone d'alloro in tre differenti punti della città a memoria imperitura dei caduti.
Alunni ed alunne dei circoli didattici terlizzesi hanno quindi intonato l'inno di Terlizzi (scuola "Pappagallo"), la celeberrima "Blowin' in the wind" di Bob Dylan (I.C. "San Giovanni Bosco") ed infine "Bella Ciao" e rimarcare quanto l'anelito di libertà di quegli uomini e quelle donne non si sia spento e riecheggi ancora in una società solo apparentemente distratta. 80 anni dopo è ancora così, nel rispetto e nella salvaguardia dei valori della Resistenza e della Repubblica che ne scaturì. IL DISCORSO COMPLETO DEL SINDACO MICHELANGELO DE CHIRICO
«Carissimi concittadini e concittadine, autorità civili e militari, forze dell'ordine, alunni, docenti e dirigenti scolastici, rappresentanti e componenti delle associazioni combattentistiche, partigiane e d'arma, familiari del prof. Gioacchino Gesmundo e di Don Pietro Pappagallo, grazie per essere qui stamattina ad onorare con la vostra presenza l'80° Anniversario dell'Eccidio delle Fosse Ardeatine.
Ringrazio anche coloro che hanno reso possibile questo momento di riflessione e di memoria.
Il 24 marzo del 1944, precisamente 80 anni fa, a Roma, occupata dall'esercito del Terzo Reich, si consuma una delle maggiori stragi nazifasciste in Italia, in cui furono trucidati tanti innocenti e tra loro i nostri due concittadini Don Pietro Pappagallo ed il prof. Gioacchino Gesmundo.
Nelle cave di pozzolana situate nei pressi della via Ardeatina furono uccisi 335 uomini come rappresaglia per l'azione partigiana di Via Rasella, che il giorno precedente aveva causato la morte di 33 nazisti. Il comando tedesco di Roma decise di attuare una "punizione esemplare": per ogni tedesco morto sarebbero stati uccisi dieci italiani. Fu stilata la lista di chi doveva essere ammazzato: 335 uomini tra detenuti civili e militari, ebrei e semplici sospetti antifascisti sarebbero morti con un colpo di pistola alla nuca. Completate le esecuzioni fecero saltare con dell'esplosivo gli ingressi delle cave per occultarne all'interno i cadaveri.
Il prof. Gioacchino Gesmundo era stato arrestato Il 29 gennaio, prelevato dalla casa di Roma dove si era trasferito per insegnare. La sua abitazione era, di fatto, la sede clandestina de L'Unità (edizione romana), motivo per cui per lui la sentenza di morte era già stata emessa. Nella sua abitazione oltre ai libri e al materiale editoriale, i nazifascisti trovarono alcuni chiodi a tre punte usati dai partigiani contro le auto tedesche. Si trattava di attrezzi micidiali poiché riuscivano a strappare i copertoni dei camion in modo irreparabile. A gridare giustizia, dopo 80 anni, è ancora la sua camicia insanguinata esposta nei locali dell'allora comando tedesco, oggi museo di via Tasso, che di recente abbiamo visitato con una rappresentanza studentesca delle scuole Gesmundo e Pappagallo e dove oggi, mentre noi siamo qui, sono in visita altre scolaresche.
Nella stessa data fu arrestato Don Pietro Pappagallo colpevole di aver soccorso ebrei, alcuni soldati e militari alleati in fuga, aiutandoli a nascondersi. Sei uomini armati erano entrati nella casa di Don Pietro per perquisire l'abitazione. Portando via una borsa di pelle contenente dei timbri e dei documenti in bianco ma non trovarono quello che cercavano, ovvero l'elenco degli uomini ai quali Don Pietro aveva fornito documenti falsi per sfuggire alla cattura. L'elenco era incollato dietro una grande fotografia della mamma defunta. I nazisti videro la foto ma non la girarono; i poliziotti rimasero in quella casa fino a tarda sera per catturare tutti coloro i quali si recavano da don Pietro. Furono arrestati e condotti in via Tasso.
Mi piace ricordare soprattutto per i ragazzi, chi erano Don Pietro Pappagallo ed il prof. Gesmundo nella vita.
Don Pietro è quinto di otto fratelli, nasce in una famiglia modesta: il padre è un cordaio, fabbrica funi con canapa, iuta e giunco; la madre è una casalinga e intuisce subito la vocazione del figlio. Pietro lavora inizialmente come garzone nella bottega del padre, poi la madre gli permette di entrare in seminario, dando, con la cessione dei suoi beni immobili, la "rendita sacerdotale" a quei tempi necessaria per chi intende diventare presbitero.
Il 16 novembre 1925 si trasferisce a Roma per studiare Diritto Canonico. Nel 1928 gli viene concesso di restare nella diocesi di Roma in modo stabile, nominato viceparroco della Basilica di San Giovanni in Laterano.
A Roma vive un suo concittadino e suo ex allievo, Gioacchino Gesmundo, laureato in storia, filosofia e pedagogia, docente al liceo scientifico "Cavour". Nella capitale si afferma come studioso, per il suo rigore morale e per le doti di educatore, capace di trasfondere nei giovani allievi i principi di libertà. Diventato dirigente del Partito Comunista Clandestino, il professore contatta don Pietro e gli chiede di attivarsi per la produzione di carte di identità false per salvare disertori e perseguitati.
Don Pietro non si tira indietro e da quel momento in poi si impegna nel fornire aiuto a soldati, partigiani, alleati, ebrei e altre persone ricercate dal regime. Il suo appartamento di via Urbana 2 diventa rifugio per molti.
Don Pietro sarà l'unico prete cattolico a essere ucciso alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del 1944. All'ingresso delle cave dalla lunga fila in attesa della fucilazione si alza un grido: "Padre, benediteci!" racconterà un superstite, "Don Pietro, che era un uomo robusto e vigoroso, si liberò dai lacci che gli stringevano i polsi, alzò le braccia al cielo e pregò ad alta voce, impartendo a tutti l'assoluzione".
Don Pietro Pappagallo è medaglia d'oro al merito civile.
Gioacchino Gesmundo è medaglia d'oro al valor militare.
La giornata di oggi riporta alla memoria una pagina dolorosa e drammatica della storia del nostro Paese e impone una riflessione sull'importanza della libertà e della salvaguardia della nostra democrazia. Questi valori devono essere preservati come un bene inestimabile e mai dati per scontati.
Ancor oggi, a distanza di 80 anni dall'orrendo massacro di innocenti, il ricordo dell'Eccidio delle Fosse Ardeatine suscita in tutti noi orrore e sgomento e ci richiama a ripudiare ogni forma di violenza e di intolleranza e a difendere i valori della libertà.
Coltivare la memoria è importante. Dobbiamo tenere sempre alta l'attenzione contro il pericolo di nuove possibili degenerazioni violente. La libertà, l'eguaglianza e la giustizia vanno difese e promosse ogni giorno.
Mi piace ricordare che fecero parte della Resistenza moltissimi cittadini italiani anche fuori dalla politica come Gino Bartali che salvò 800 ebrei italiani e che per questo è stato riconosciuto Giusto tra le Nazioni. In sella sua bici Bartali diventa un corriere della Resistenza e nei tubi del telaio della sua bicicletta nasconde i documenti d'identità falsi da consegnare alle famiglie ebree per permettere loro di lasciare il paese in clandestinità. Per un anno intero Bartali attraversa l'Italia in bicicletta, percorrendo fino a 400 chilometri al giorno.
O anche Mike Bongiorno che grazie alla sua conoscenza dell'inglese viene impiegato come staffetta tra le formazioni della Resistenza e gli Alleati che raggiungeva in Svizzera. Catturato il 20 aprile 1944 mentre tenta di attraversare il confine, passa 64 giorni in isolamento completo e finito il periodo d'isolamento rimane in carcere fino al 26 settembre del 1944.
La pace e la libertà non sono scontate. Se guardiamo ai diversi teatri di guerra presenti oggi nel mondo, comprendiamo che alcuni popoli fanno ricorso alle armi per affermare la propria supremazia a danno di uomini, donne e bambini innocenti che, oggi come ieri, perdono la vita in quella che invece doveva essere una normale giornata trascorsa a lavoro, a scuola, a casa.
Fa davvero rabbrividire vedere le immagini di bambini feriti, con gli occhi terrorizzati e tremolanti…disumano!
È un momento storico difficile per molte popolazioni. Dalla città di Don Pietro Pappagallo e del Prof.Gioacchino Gesmundo giunga l'appello a tutte le forze politiche del mondo affinché attraverso la mediazione, la diplomazia, il dialogo, si ponga fine ad ogni guerra in nome della pace e a difesa della dignità di ogni essere umano. Il rispetto della dignità è un valore ed un impegno che riguarda tutti noi attraverso i comportamenti quotidiani e deve partire soprattutto da chi occupa ruoli istituzionali o politici per dare il buon esempio.
Ognuno di noi può e deve essere un costruttore di pace anche attraverso il rispetto della dignità umana, ce lo hanno ricordato più volte Papa Francesco ed il Presidente Sergio Mattarella.
"Dignità" è la parola più usata dal Presidente Mattarella nel suo discorso di giuramento: ripetuta ben 18 volte. Afferma: "Dignità è opporsi al razzismo e all'antisemitismo, aggressioni intollerabili, non soltanto alle minoranze fatte oggetto di violenza, fisica o verbale, ma alla coscienza di ciascuno di noi…".
Tanto sangue è stato versato durante la Resistenza per costruire un'Italia libera e unita ed oggi piuttosto che preservare questi valori conquistati con immani sacrifici, c'è chi vuole per la nostra Nazione l'autonomia differenziata.
Un'autonomia, e lo spiega bene la parola che la definisce, non uguale per tutte le regioni, che si differenzia tra quelle già forti, che con l'autonomia diventeranno più forti, da quelle deboli, che rimarranno sempre indietro. Insomma, con l'Autonomia differenziata vogliono realizzare, anche nelle istituzioni, quella dinamica che legittima l'ingiustizia più grave, quella che fa i ricchi più ricchi ed il resto della popolazione più povera, acuendo le differenze tra le persone.
Nelle aree settentrionali si rafforza l'idea che il Mezzogiorno usi il ritardo per vivere sulle tasse altrui, mentre al Sud si soffre per il crescente antimeridionalismo.
Dobbiamo difendere la nostra Italia libera e unita così come ci è stata consegnata dai nostri padri.
Riflettiamo insieme, care concittadine e cari concittadini, sui concetti di pace, libertà, giustizia e unità.
Ricordiamo a tal proposito una frase del Presidente Sandro Pertini: "Dietro ogni articolo della Carta Costituzionale stanno centinaia di giovani morti nella Resistenza. Quindi la Repubblica è una conquista nostra e dobbiamo difenderla, costi quel che costi."
Grazie Don Pietro Pappagallo, grazie prof. Gioacchino Gesmundo per il vostro sacrificio. Terlizzi non vi dimentica e attraverso l'esercizio della memoria tiene vive le vostre vite esemplari».
Ieri mattina la celebrazione ufficiale ed il ricordo dei martiri dell'eccidio delle Fosse Ardeatine, l'uccisione di 335 civili e militari italiani, prigionieri politici, ebrei o detenuti comuni, trucidati a Roma il 24 marzo 1944 dalle truppe di occupazione tedesche come rappresaglia per l'attentato partigiano di via Rasella, compiuto il 23 marzo da membri dei GAP romani, in cui erano rimasti uccisi 33 soldati del reggimento "Bozen" appartenente alla Ordnungspolizei, la polizia tedesca. L'eccidio non fu preceduto da alcun preavviso da parte tedesca.
Tra di essi il prof. Gioacchino Gesmundo e don Pietro Pappagallo, figli di questa terra mai dimenticati, esempio di virtù democratiche ed amore per il prossimo. La cerimonia ha previsto un corteo che è partito da Palazzo di Città davanti alle massime autorità civili e militari cittadine, con la deposizione di corone d'alloro in tre differenti punti della città a memoria imperitura dei caduti.
Alunni ed alunne dei circoli didattici terlizzesi hanno quindi intonato l'inno di Terlizzi (scuola "Pappagallo"), la celeberrima "Blowin' in the wind" di Bob Dylan (I.C. "San Giovanni Bosco") ed infine "Bella Ciao" e rimarcare quanto l'anelito di libertà di quegli uomini e quelle donne non si sia spento e riecheggi ancora in una società solo apparentemente distratta. 80 anni dopo è ancora così, nel rispetto e nella salvaguardia dei valori della Resistenza e della Repubblica che ne scaturì. IL DISCORSO COMPLETO DEL SINDACO MICHELANGELO DE CHIRICO
«Carissimi concittadini e concittadine, autorità civili e militari, forze dell'ordine, alunni, docenti e dirigenti scolastici, rappresentanti e componenti delle associazioni combattentistiche, partigiane e d'arma, familiari del prof. Gioacchino Gesmundo e di Don Pietro Pappagallo, grazie per essere qui stamattina ad onorare con la vostra presenza l'80° Anniversario dell'Eccidio delle Fosse Ardeatine.
Ringrazio anche coloro che hanno reso possibile questo momento di riflessione e di memoria.
Il 24 marzo del 1944, precisamente 80 anni fa, a Roma, occupata dall'esercito del Terzo Reich, si consuma una delle maggiori stragi nazifasciste in Italia, in cui furono trucidati tanti innocenti e tra loro i nostri due concittadini Don Pietro Pappagallo ed il prof. Gioacchino Gesmundo.
Nelle cave di pozzolana situate nei pressi della via Ardeatina furono uccisi 335 uomini come rappresaglia per l'azione partigiana di Via Rasella, che il giorno precedente aveva causato la morte di 33 nazisti. Il comando tedesco di Roma decise di attuare una "punizione esemplare": per ogni tedesco morto sarebbero stati uccisi dieci italiani. Fu stilata la lista di chi doveva essere ammazzato: 335 uomini tra detenuti civili e militari, ebrei e semplici sospetti antifascisti sarebbero morti con un colpo di pistola alla nuca. Completate le esecuzioni fecero saltare con dell'esplosivo gli ingressi delle cave per occultarne all'interno i cadaveri.
Il prof. Gioacchino Gesmundo era stato arrestato Il 29 gennaio, prelevato dalla casa di Roma dove si era trasferito per insegnare. La sua abitazione era, di fatto, la sede clandestina de L'Unità (edizione romana), motivo per cui per lui la sentenza di morte era già stata emessa. Nella sua abitazione oltre ai libri e al materiale editoriale, i nazifascisti trovarono alcuni chiodi a tre punte usati dai partigiani contro le auto tedesche. Si trattava di attrezzi micidiali poiché riuscivano a strappare i copertoni dei camion in modo irreparabile. A gridare giustizia, dopo 80 anni, è ancora la sua camicia insanguinata esposta nei locali dell'allora comando tedesco, oggi museo di via Tasso, che di recente abbiamo visitato con una rappresentanza studentesca delle scuole Gesmundo e Pappagallo e dove oggi, mentre noi siamo qui, sono in visita altre scolaresche.
Nella stessa data fu arrestato Don Pietro Pappagallo colpevole di aver soccorso ebrei, alcuni soldati e militari alleati in fuga, aiutandoli a nascondersi. Sei uomini armati erano entrati nella casa di Don Pietro per perquisire l'abitazione. Portando via una borsa di pelle contenente dei timbri e dei documenti in bianco ma non trovarono quello che cercavano, ovvero l'elenco degli uomini ai quali Don Pietro aveva fornito documenti falsi per sfuggire alla cattura. L'elenco era incollato dietro una grande fotografia della mamma defunta. I nazisti videro la foto ma non la girarono; i poliziotti rimasero in quella casa fino a tarda sera per catturare tutti coloro i quali si recavano da don Pietro. Furono arrestati e condotti in via Tasso.
Mi piace ricordare soprattutto per i ragazzi, chi erano Don Pietro Pappagallo ed il prof. Gesmundo nella vita.
Don Pietro è quinto di otto fratelli, nasce in una famiglia modesta: il padre è un cordaio, fabbrica funi con canapa, iuta e giunco; la madre è una casalinga e intuisce subito la vocazione del figlio. Pietro lavora inizialmente come garzone nella bottega del padre, poi la madre gli permette di entrare in seminario, dando, con la cessione dei suoi beni immobili, la "rendita sacerdotale" a quei tempi necessaria per chi intende diventare presbitero.
Il 16 novembre 1925 si trasferisce a Roma per studiare Diritto Canonico. Nel 1928 gli viene concesso di restare nella diocesi di Roma in modo stabile, nominato viceparroco della Basilica di San Giovanni in Laterano.
A Roma vive un suo concittadino e suo ex allievo, Gioacchino Gesmundo, laureato in storia, filosofia e pedagogia, docente al liceo scientifico "Cavour". Nella capitale si afferma come studioso, per il suo rigore morale e per le doti di educatore, capace di trasfondere nei giovani allievi i principi di libertà. Diventato dirigente del Partito Comunista Clandestino, il professore contatta don Pietro e gli chiede di attivarsi per la produzione di carte di identità false per salvare disertori e perseguitati.
Don Pietro non si tira indietro e da quel momento in poi si impegna nel fornire aiuto a soldati, partigiani, alleati, ebrei e altre persone ricercate dal regime. Il suo appartamento di via Urbana 2 diventa rifugio per molti.
Don Pietro sarà l'unico prete cattolico a essere ucciso alle Fosse Ardeatine il 24 marzo del 1944. All'ingresso delle cave dalla lunga fila in attesa della fucilazione si alza un grido: "Padre, benediteci!" racconterà un superstite, "Don Pietro, che era un uomo robusto e vigoroso, si liberò dai lacci che gli stringevano i polsi, alzò le braccia al cielo e pregò ad alta voce, impartendo a tutti l'assoluzione".
Don Pietro Pappagallo è medaglia d'oro al merito civile.
Gioacchino Gesmundo è medaglia d'oro al valor militare.
La giornata di oggi riporta alla memoria una pagina dolorosa e drammatica della storia del nostro Paese e impone una riflessione sull'importanza della libertà e della salvaguardia della nostra democrazia. Questi valori devono essere preservati come un bene inestimabile e mai dati per scontati.
Ancor oggi, a distanza di 80 anni dall'orrendo massacro di innocenti, il ricordo dell'Eccidio delle Fosse Ardeatine suscita in tutti noi orrore e sgomento e ci richiama a ripudiare ogni forma di violenza e di intolleranza e a difendere i valori della libertà.
Coltivare la memoria è importante. Dobbiamo tenere sempre alta l'attenzione contro il pericolo di nuove possibili degenerazioni violente. La libertà, l'eguaglianza e la giustizia vanno difese e promosse ogni giorno.
Mi piace ricordare che fecero parte della Resistenza moltissimi cittadini italiani anche fuori dalla politica come Gino Bartali che salvò 800 ebrei italiani e che per questo è stato riconosciuto Giusto tra le Nazioni. In sella sua bici Bartali diventa un corriere della Resistenza e nei tubi del telaio della sua bicicletta nasconde i documenti d'identità falsi da consegnare alle famiglie ebree per permettere loro di lasciare il paese in clandestinità. Per un anno intero Bartali attraversa l'Italia in bicicletta, percorrendo fino a 400 chilometri al giorno.
O anche Mike Bongiorno che grazie alla sua conoscenza dell'inglese viene impiegato come staffetta tra le formazioni della Resistenza e gli Alleati che raggiungeva in Svizzera. Catturato il 20 aprile 1944 mentre tenta di attraversare il confine, passa 64 giorni in isolamento completo e finito il periodo d'isolamento rimane in carcere fino al 26 settembre del 1944.
La pace e la libertà non sono scontate. Se guardiamo ai diversi teatri di guerra presenti oggi nel mondo, comprendiamo che alcuni popoli fanno ricorso alle armi per affermare la propria supremazia a danno di uomini, donne e bambini innocenti che, oggi come ieri, perdono la vita in quella che invece doveva essere una normale giornata trascorsa a lavoro, a scuola, a casa.
Fa davvero rabbrividire vedere le immagini di bambini feriti, con gli occhi terrorizzati e tremolanti…disumano!
È un momento storico difficile per molte popolazioni. Dalla città di Don Pietro Pappagallo e del Prof.Gioacchino Gesmundo giunga l'appello a tutte le forze politiche del mondo affinché attraverso la mediazione, la diplomazia, il dialogo, si ponga fine ad ogni guerra in nome della pace e a difesa della dignità di ogni essere umano. Il rispetto della dignità è un valore ed un impegno che riguarda tutti noi attraverso i comportamenti quotidiani e deve partire soprattutto da chi occupa ruoli istituzionali o politici per dare il buon esempio.
Ognuno di noi può e deve essere un costruttore di pace anche attraverso il rispetto della dignità umana, ce lo hanno ricordato più volte Papa Francesco ed il Presidente Sergio Mattarella.
"Dignità" è la parola più usata dal Presidente Mattarella nel suo discorso di giuramento: ripetuta ben 18 volte. Afferma: "Dignità è opporsi al razzismo e all'antisemitismo, aggressioni intollerabili, non soltanto alle minoranze fatte oggetto di violenza, fisica o verbale, ma alla coscienza di ciascuno di noi…".
Tanto sangue è stato versato durante la Resistenza per costruire un'Italia libera e unita ed oggi piuttosto che preservare questi valori conquistati con immani sacrifici, c'è chi vuole per la nostra Nazione l'autonomia differenziata.
Un'autonomia, e lo spiega bene la parola che la definisce, non uguale per tutte le regioni, che si differenzia tra quelle già forti, che con l'autonomia diventeranno più forti, da quelle deboli, che rimarranno sempre indietro. Insomma, con l'Autonomia differenziata vogliono realizzare, anche nelle istituzioni, quella dinamica che legittima l'ingiustizia più grave, quella che fa i ricchi più ricchi ed il resto della popolazione più povera, acuendo le differenze tra le persone.
Nelle aree settentrionali si rafforza l'idea che il Mezzogiorno usi il ritardo per vivere sulle tasse altrui, mentre al Sud si soffre per il crescente antimeridionalismo.
Dobbiamo difendere la nostra Italia libera e unita così come ci è stata consegnata dai nostri padri.
Riflettiamo insieme, care concittadine e cari concittadini, sui concetti di pace, libertà, giustizia e unità.
Ricordiamo a tal proposito una frase del Presidente Sandro Pertini: "Dietro ogni articolo della Carta Costituzionale stanno centinaia di giovani morti nella Resistenza. Quindi la Repubblica è una conquista nostra e dobbiamo difenderla, costi quel che costi."
Grazie Don Pietro Pappagallo, grazie prof. Gioacchino Gesmundo per il vostro sacrificio. Terlizzi non vi dimentica e attraverso l'esercizio della memoria tiene vive le vostre vite esemplari».