Attualità
Tutto pieno al Mat per Nichi Vendola e la sua silloge "Patrie"
Riflessioni raffinate sulla poesia insieme all'intellettuale Vittorino Curci
Terlizzi - lunedì 27 settembre 2021
10.05
Quarant'anni di vita condensati in poesie. È la silloge "Patrie" di Nichi Vendola in cui l'ex governatore della Regione Puglia racconta di sé ripercorrendo in maniera autobiografica ricordi, emozioni e riflessioni sulla sua sfera privata e affettiva e sugli ideali per cui si è lungamente speso.
In tantissimi, anche da fuori Terlizzi, sono accorsi al Mat nel primo sabato autunnale per inebriarsi della raffinatezza linguistica di Vendola come letterato e poeta che, attraverso l'impiego attento delle parole, vuole recuperare l'importanza di una lingua ben articolata che sembra essere in fase di decadenza.
La vena poetica di Vendola trae ispirazione da Dario Bellezza, intellettuale di spicco della passata scena italiana, che lo ha spinto a «perdere il pudore e a raccontare al pubblico il proprio mondo interiore».
Vendola negli anni ha voluto restituire alla politica una forma verbale consona, elegante e ricercata che possa elevare un linguaggio burocratico e talvolta sterile al culto del bello, inneggiando a una comunicazione basata su di un impianto valoriale positivo.
Era da tantissimo tempo che Nichi Vendola non faceva visita al suo paese d'origine o, perlomeno, non in maniera così plateale. L'accoglienza è stata più che calorosa, benvoluto dai conterranei che per decenni lo hanno sostenuto per una Puglia e un Sud in evoluzione. Una stella polare che ad oggi viene seguita da lontano.
Vendola non ricopre al momento alcun ruolo istituzionale, ma continua a fare politica attiva curandosi ostinatamente delle parole. «La parola si è scheletrita, si è involgarita, volta a soddisfare un'antropologia superficiale e calcolistica».
Se agli inizi del Novecento, l'élite si fregiava di conoscere più vocaboli rispetto al popolo e ne faceva uso per esercitare un potere prepotente, nell'attualità la situazione si è ribaltata: ci sono cittadini colti e preparati che sono malamente guidati da una casta dallo stile beduino e imbarbarito. Il che di riflesso si riverbera finanche sulle tematiche, assistendo al dilagare di un nuovo fascismo o alle soverchierie del genere maschile su quello femminile.
Il termine "patria" è stato coniato dando centralità al culto della sacralità del confine al di là del quale vi è la convinzione di trovare un nemico. Proprio per questo, il plurale "patrie" induce a meditare su un concetto universale che abbraccia l'intero genere umano in tutto il globo, rammentando anche che ciascuna patria è fondata sulla vigile memoria di quanti si sono battuti in suo nome.
La poesia vendoliana affonda le sue radici negli studi della giovinezza, quali il verso alessandrino, la filastrocca, la ballata popolare, la classicità foscoliana: introiettati e metabolizzati, abitano l'inconscio di Vendola fino a che non vengono tirati fuori.
«La poesia è creazione di nuovi spazi sonori: le parole producono il mondo e tramite esse si compie il discernimento». Per Vendola la poesia è colpire, scuotere l'intimità, «Una poesia non descrive una rosa, compito che spetta alla prosa, ma ti fa avvertire il suo profumo o il dolore della spina che punge».
I componimenti lambiscono episodi vissuti in prima persona. A Sarajevo, ad esempio, Vendola ha constatato tristemente l'assuefazione alla strage considerata una normalità: in passato i suoi cittadini camminavano lentamente per le strade per non intercettare i proiettili che schizzavano da palazzo a palazzo. Lui stesso, che alloggiava all'interno dell'Holiday Inn, ha dovuto nascondersi sotto il letto perché ha ricevuto raffiche di colpi contro la finestra.
Toccanti sono state le declamazioni sulla sua appartenenza, Terlizzi e la sua mamma. Se del nostro borgo gli rimangono impressi nel cuore la Torre Normanna e le palme che evocano nostalgia e imponenza nella loro verticalità, l'ode alla sua genitrice ha suscitato forte commozione. Vicina al suo ultimo respiro, ella ha avuto la forza di narrare i suoi momenti più felici legati alla nascita dei suoi figli. Una congiunzione tra la vita e la morte che riunisce in un cerchio simbolico l'inizio e la fine del ciclo biologico.
Nichi Vendola è un portatore di sogni. «I sognatori realizzano fatti perché hanno avuto la capacità di guardare oltre», chiosa Vittorino Curci, poeta e sassofonista che ha magistralmente condotto un vivace dialogo con una personalità difficilmente replicabile per la sua unicità.
In tantissimi, anche da fuori Terlizzi, sono accorsi al Mat nel primo sabato autunnale per inebriarsi della raffinatezza linguistica di Vendola come letterato e poeta che, attraverso l'impiego attento delle parole, vuole recuperare l'importanza di una lingua ben articolata che sembra essere in fase di decadenza.
La vena poetica di Vendola trae ispirazione da Dario Bellezza, intellettuale di spicco della passata scena italiana, che lo ha spinto a «perdere il pudore e a raccontare al pubblico il proprio mondo interiore».
Vendola negli anni ha voluto restituire alla politica una forma verbale consona, elegante e ricercata che possa elevare un linguaggio burocratico e talvolta sterile al culto del bello, inneggiando a una comunicazione basata su di un impianto valoriale positivo.
Era da tantissimo tempo che Nichi Vendola non faceva visita al suo paese d'origine o, perlomeno, non in maniera così plateale. L'accoglienza è stata più che calorosa, benvoluto dai conterranei che per decenni lo hanno sostenuto per una Puglia e un Sud in evoluzione. Una stella polare che ad oggi viene seguita da lontano.
Vendola non ricopre al momento alcun ruolo istituzionale, ma continua a fare politica attiva curandosi ostinatamente delle parole. «La parola si è scheletrita, si è involgarita, volta a soddisfare un'antropologia superficiale e calcolistica».
Se agli inizi del Novecento, l'élite si fregiava di conoscere più vocaboli rispetto al popolo e ne faceva uso per esercitare un potere prepotente, nell'attualità la situazione si è ribaltata: ci sono cittadini colti e preparati che sono malamente guidati da una casta dallo stile beduino e imbarbarito. Il che di riflesso si riverbera finanche sulle tematiche, assistendo al dilagare di un nuovo fascismo o alle soverchierie del genere maschile su quello femminile.
Il termine "patria" è stato coniato dando centralità al culto della sacralità del confine al di là del quale vi è la convinzione di trovare un nemico. Proprio per questo, il plurale "patrie" induce a meditare su un concetto universale che abbraccia l'intero genere umano in tutto il globo, rammentando anche che ciascuna patria è fondata sulla vigile memoria di quanti si sono battuti in suo nome.
La poesia vendoliana affonda le sue radici negli studi della giovinezza, quali il verso alessandrino, la filastrocca, la ballata popolare, la classicità foscoliana: introiettati e metabolizzati, abitano l'inconscio di Vendola fino a che non vengono tirati fuori.
«La poesia è creazione di nuovi spazi sonori: le parole producono il mondo e tramite esse si compie il discernimento». Per Vendola la poesia è colpire, scuotere l'intimità, «Una poesia non descrive una rosa, compito che spetta alla prosa, ma ti fa avvertire il suo profumo o il dolore della spina che punge».
I componimenti lambiscono episodi vissuti in prima persona. A Sarajevo, ad esempio, Vendola ha constatato tristemente l'assuefazione alla strage considerata una normalità: in passato i suoi cittadini camminavano lentamente per le strade per non intercettare i proiettili che schizzavano da palazzo a palazzo. Lui stesso, che alloggiava all'interno dell'Holiday Inn, ha dovuto nascondersi sotto il letto perché ha ricevuto raffiche di colpi contro la finestra.
Toccanti sono state le declamazioni sulla sua appartenenza, Terlizzi e la sua mamma. Se del nostro borgo gli rimangono impressi nel cuore la Torre Normanna e le palme che evocano nostalgia e imponenza nella loro verticalità, l'ode alla sua genitrice ha suscitato forte commozione. Vicina al suo ultimo respiro, ella ha avuto la forza di narrare i suoi momenti più felici legati alla nascita dei suoi figli. Una congiunzione tra la vita e la morte che riunisce in un cerchio simbolico l'inizio e la fine del ciclo biologico.
Nichi Vendola è un portatore di sogni. «I sognatori realizzano fatti perché hanno avuto la capacità di guardare oltre», chiosa Vittorino Curci, poeta e sassofonista che ha magistralmente condotto un vivace dialogo con una personalità difficilmente replicabile per la sua unicità.