
Pino Gialluisi, una vita nello sport
La nostra intervista al dirigente terlizese della Federazione Italiana Giuoco Calcio
Terlizzi - giovedì 6 marzo 2025
Prosegue il nostro giro d'interviste a trecentosessanta gradi nel variegato mondo dello sport locale e regionale, quello che parla terlizzese.
Questa volta a raccontare le emozioni e i fantastici aneddoti della sua carriera lavorativa e sportiva è Giuseppe Gialluisi, più noto come Pino, volto noto del mondo del calcio e non solo. Il sessantanovenne terlizzese si emoziona attraverso il suo vissuto da dirigente della Federazione Italiana Giuoco Calcio. Ecco il resoconto della nostra interessante chiacchierata.
Giuseppe Gialluisi, da quanti anni è nel mondo dello sport? Che ruoli ha rivestito ed attualmente ne riveste ancora qualcuno?
«Sono nel mondo dello sport da oltre 50 anni. Ho iniziato la mia carriera sportiva nel CONI, prendendo servizio presso il Totocalcio che aveva un palazzo sul Lungomare Nazario Sauro di Bari. Terminata questa esperienza, sono stato trasferito al Comitato Regionale Puglia della Lega Nazionale Dilettanti, come responsabile dell'Ufficio Affari Generali, un ruolo che ho ricoperto fino al mio pensionamento, nel novembre del 2022. In questi anni ho avuto l'opportunità di collaborare con tante persone e di essere parte di un movimento che ha visto crescere e svilupparsi il calcio dilettantistico pugliese, per il quale ho dato tutta la mia vita. Oggi, dopo il mio pensionamento, sono stato chiamato a guidare la Commissione per l'Attività Sociale della stessa LND in quota Puglia, una nuova esperienza che mi sta dando tante soddisfazioni. Inoltre, sono ancora capo delegazione delle rappresentative regionali pugliesi, occupandomi con passione della preparazione delle squadre giovanili per il Torneo delle Regioni, una delle competizioni più prestigiose a livello dilettantistico e giovanile su scala nazionale. Se occupo questi ruoli così gratificanti e prestigiosi nel calcio pugliese e nazionale, il merito è tutto da attribuire al Presidente Vito Tisci, un Dirigente di alto profilo, che conosco dagli inizi della mia carriera nel mondo dello sport ed ha sempre creduto nelle mie capacità professionali. La sua stima, la sua riconoscenza nei miei confronti, è sempre stato stimolo per dedicarmi a questo appassionante lavoro con abnegazione e spirito di servizio».
Cos'è lo sport per lei?
«Lo sport è vita, è passione e un forte legame con la comunità. È un'opportunità di crescita non solo per chi lo pratica, ma anche per chi lo vive come spettatore, come genitore o come parte di una squadra. Lo sport unisce, insegna la disciplina, la resilienza, e la capacità di superare le difficoltà, elementi che, se applicati alla vita quotidiana, possono fare davvero la differenza. In particolare, per me il calcio dilettantistico è un luogo dove i valori dell'inclusione, del rispetto e dell'impegno trovano la loro massima espressione».
L'emozione più grande?
«Le emozioni vissute in questi anni sono tantissime e difficili da sintetizzare in una sola. Ricordo con grande emozione i Giochi del Mediterraneo del 1997 organizzati a Bari, nell'ambito dei quali ho svolto il ruolo di Sindaco del Villaggio dove alloggiavano le formazioni nazionali di volley e basket, maschile e femminile. In quel contesto, sono stato protagonista di un episodio di grande fair play tra alcuni tesserati di Croazia ed ex Jugoslavia, notoriamente contrapposte per motivi politici. Nel 1991, infatti, la Croazia aveva dichiarato la sua indipendenza dalla federazione jugoslava e quindi dalla Serbia, scatenando la Guerra di Indipendenza Croata, che era uno dei conflitti principali durante le guerre jugoslave. Pertanto, nel 1997, la Croazia era un paese indipendente e separato dalla Federazione Jugoslava. Nel contesto dei Giochi del Mediterraneo, la Jugoslavia era rappresentata dalla Federazione di Serbia e Montenegro (la "Repubblica Federale di Jugoslavia"), mentre la Croazia partecipava come nazione separata. Le due nazioni, quindi, erano effettivamente contrapposte politicamente e anche nel contesto sportivo, con la Croazia che cercava di affermare la propria identità nazionale indipendente, un periodo in cui le tensioni politiche e le divisioni erano ancora forti. Quindi, in termini sportivi e politici, c'era una netta separazione tra le due nazioni, che non solo si confrontavano sul campo, ma rappresentavano anche due entità politiche distinte e in competizione, dopo il conflitto che aveva segnato la fine della Jugoslavia. Fu questo uno dei motivi per cui il CONI, al termine dei Giochi, mi inviò una lettera di encomio per le capacità lavorative e professionali dimostrate in quella circostanza. Tuttavia, una delle emozioni più forti è stata sicuramente la possibilità di vedere tanti ragazzi crescere, formarsi e affermarsi nel mondo dello sport. Penso anche, più recentemente, ai ragazzi delle nostre rappresentative che, ogni anno, hanno la possibilità di mettersi alla prova in un palcoscenico importante come il Torneo delle Regioni. Ma anche le soddisfazioni più quotidiane, come il vedere una squadra che ha lavorato tanto insieme, che gioca con passione, che si impegna al massimo, sono momenti che mi riempiono il cuore di gioia».
Un rimpianto?
«Il mio più grande rimpianto è forse quello di non poter rivivere tutte quelle straordinarie esperienze che hanno reso la mia carriera nello sport così bella e indimenticabile. Non è facile fare un bilancio di una vita interamente dedicata a questa passione, ma sicuramente c'è una parte di me che vorrebbe poter tornare indietro e vivere di nuovo alcune di quelle emozioni, soprattutto legate agli inizi, quando ogni piccola conquista sembrava una grande vittoria. Ogni esperienza, però, mi ha arricchito, e non posso che essere grato per tutto ciò che ho avuto l'opportunità di vivere».
Un suggerimento ai più giovani che si sono avvicinati da poco allo sport o che vogliono avvicinarvisi?
«Il consiglio che mi sento di dare è di non mollare mai, anche quando le cose sembrano difficili. Lo sport richiede impegno, sacrificio e perseveranza, ma è anche una grande scuola di vita. Ogni errore è un'opportunità per migliorare, e ogni ostacolo può essere superato con determinazione. Non abbiate fretta, il successo arriva con il tempo e il duro lavoro. Soprattutto, ricordatevi di divertirvi: lo sport è prima di tutto un gioco, una passione, e deve essere vissuto con gioia e senza pressioni».
Un suggerimento ai genitori?
«Ai genitori dico di essere sempre di supporto, ma senza mai imporre. Ogni ragazzo ha i suoi tempie le sue inclinazioni, e il compito di un genitore è quello di stimolarlo, accompagnarlo e sostenerlo, ma senza mai mettere troppa pressione. Lo sport deve essere un'opportunità di crescita, non un campo di battaglia. La cosa più importante è che i ragazzi si sentano liberi di esprimere sé stessi, e di sviluppare le proprie capacità in un ambiente sano e sereno».
Vuole fare un appello alle Istituzioni?
«Il mio appello alle Istituzioni è di non dimenticare mai l'importanza di investire nello sport, soprattutto in quello dilettantistico e giovanile. Lo sport è una risorsa fondamentale per la comunità e per i giovani, e ha il potere di formare le persone sotto molti punti di vista. È essenziale che le strutture, le risorse e le opportunità per i ragazzi e le società sportive siano sempre più numerose e accessibili. Lo sport deve essere visto come un diritto per tutti, e deve essere incoraggiato e supportato in ogni sua forma».
Un sogno nel cassetto?
«Il mio sogno è quello di vedere un calcio dilettantistico e giovanile sempre più sano, inclusivo e capace di coinvolgere ragazzi e ragazze, indipendentemente dal loro background. Mi piacerebbe vedere sempre più giovani protagonisti, non solo come atleti, ma anche come cittadini attivi e consapevoli del loro ruolo nella società. E, personalmente, spero di riuscire a portare avanti il mio impegno nell'area sociale, contribuendo a sensibilizzare tutti sul valore educativo e formativo dello sport, promuovendo iniziative che possano davvero fare la differenza nelle comunità».
Questa volta a raccontare le emozioni e i fantastici aneddoti della sua carriera lavorativa e sportiva è Giuseppe Gialluisi, più noto come Pino, volto noto del mondo del calcio e non solo. Il sessantanovenne terlizzese si emoziona attraverso il suo vissuto da dirigente della Federazione Italiana Giuoco Calcio. Ecco il resoconto della nostra interessante chiacchierata.
Giuseppe Gialluisi, da quanti anni è nel mondo dello sport? Che ruoli ha rivestito ed attualmente ne riveste ancora qualcuno?
«Sono nel mondo dello sport da oltre 50 anni. Ho iniziato la mia carriera sportiva nel CONI, prendendo servizio presso il Totocalcio che aveva un palazzo sul Lungomare Nazario Sauro di Bari. Terminata questa esperienza, sono stato trasferito al Comitato Regionale Puglia della Lega Nazionale Dilettanti, come responsabile dell'Ufficio Affari Generali, un ruolo che ho ricoperto fino al mio pensionamento, nel novembre del 2022. In questi anni ho avuto l'opportunità di collaborare con tante persone e di essere parte di un movimento che ha visto crescere e svilupparsi il calcio dilettantistico pugliese, per il quale ho dato tutta la mia vita. Oggi, dopo il mio pensionamento, sono stato chiamato a guidare la Commissione per l'Attività Sociale della stessa LND in quota Puglia, una nuova esperienza che mi sta dando tante soddisfazioni. Inoltre, sono ancora capo delegazione delle rappresentative regionali pugliesi, occupandomi con passione della preparazione delle squadre giovanili per il Torneo delle Regioni, una delle competizioni più prestigiose a livello dilettantistico e giovanile su scala nazionale. Se occupo questi ruoli così gratificanti e prestigiosi nel calcio pugliese e nazionale, il merito è tutto da attribuire al Presidente Vito Tisci, un Dirigente di alto profilo, che conosco dagli inizi della mia carriera nel mondo dello sport ed ha sempre creduto nelle mie capacità professionali. La sua stima, la sua riconoscenza nei miei confronti, è sempre stato stimolo per dedicarmi a questo appassionante lavoro con abnegazione e spirito di servizio».
Cos'è lo sport per lei?
«Lo sport è vita, è passione e un forte legame con la comunità. È un'opportunità di crescita non solo per chi lo pratica, ma anche per chi lo vive come spettatore, come genitore o come parte di una squadra. Lo sport unisce, insegna la disciplina, la resilienza, e la capacità di superare le difficoltà, elementi che, se applicati alla vita quotidiana, possono fare davvero la differenza. In particolare, per me il calcio dilettantistico è un luogo dove i valori dell'inclusione, del rispetto e dell'impegno trovano la loro massima espressione».
L'emozione più grande?
«Le emozioni vissute in questi anni sono tantissime e difficili da sintetizzare in una sola. Ricordo con grande emozione i Giochi del Mediterraneo del 1997 organizzati a Bari, nell'ambito dei quali ho svolto il ruolo di Sindaco del Villaggio dove alloggiavano le formazioni nazionali di volley e basket, maschile e femminile. In quel contesto, sono stato protagonista di un episodio di grande fair play tra alcuni tesserati di Croazia ed ex Jugoslavia, notoriamente contrapposte per motivi politici. Nel 1991, infatti, la Croazia aveva dichiarato la sua indipendenza dalla federazione jugoslava e quindi dalla Serbia, scatenando la Guerra di Indipendenza Croata, che era uno dei conflitti principali durante le guerre jugoslave. Pertanto, nel 1997, la Croazia era un paese indipendente e separato dalla Federazione Jugoslava. Nel contesto dei Giochi del Mediterraneo, la Jugoslavia era rappresentata dalla Federazione di Serbia e Montenegro (la "Repubblica Federale di Jugoslavia"), mentre la Croazia partecipava come nazione separata. Le due nazioni, quindi, erano effettivamente contrapposte politicamente e anche nel contesto sportivo, con la Croazia che cercava di affermare la propria identità nazionale indipendente, un periodo in cui le tensioni politiche e le divisioni erano ancora forti. Quindi, in termini sportivi e politici, c'era una netta separazione tra le due nazioni, che non solo si confrontavano sul campo, ma rappresentavano anche due entità politiche distinte e in competizione, dopo il conflitto che aveva segnato la fine della Jugoslavia. Fu questo uno dei motivi per cui il CONI, al termine dei Giochi, mi inviò una lettera di encomio per le capacità lavorative e professionali dimostrate in quella circostanza. Tuttavia, una delle emozioni più forti è stata sicuramente la possibilità di vedere tanti ragazzi crescere, formarsi e affermarsi nel mondo dello sport. Penso anche, più recentemente, ai ragazzi delle nostre rappresentative che, ogni anno, hanno la possibilità di mettersi alla prova in un palcoscenico importante come il Torneo delle Regioni. Ma anche le soddisfazioni più quotidiane, come il vedere una squadra che ha lavorato tanto insieme, che gioca con passione, che si impegna al massimo, sono momenti che mi riempiono il cuore di gioia».
Un rimpianto?
«Il mio più grande rimpianto è forse quello di non poter rivivere tutte quelle straordinarie esperienze che hanno reso la mia carriera nello sport così bella e indimenticabile. Non è facile fare un bilancio di una vita interamente dedicata a questa passione, ma sicuramente c'è una parte di me che vorrebbe poter tornare indietro e vivere di nuovo alcune di quelle emozioni, soprattutto legate agli inizi, quando ogni piccola conquista sembrava una grande vittoria. Ogni esperienza, però, mi ha arricchito, e non posso che essere grato per tutto ciò che ho avuto l'opportunità di vivere».
Un suggerimento ai più giovani che si sono avvicinati da poco allo sport o che vogliono avvicinarvisi?
«Il consiglio che mi sento di dare è di non mollare mai, anche quando le cose sembrano difficili. Lo sport richiede impegno, sacrificio e perseveranza, ma è anche una grande scuola di vita. Ogni errore è un'opportunità per migliorare, e ogni ostacolo può essere superato con determinazione. Non abbiate fretta, il successo arriva con il tempo e il duro lavoro. Soprattutto, ricordatevi di divertirvi: lo sport è prima di tutto un gioco, una passione, e deve essere vissuto con gioia e senza pressioni».
Un suggerimento ai genitori?
«Ai genitori dico di essere sempre di supporto, ma senza mai imporre. Ogni ragazzo ha i suoi tempie le sue inclinazioni, e il compito di un genitore è quello di stimolarlo, accompagnarlo e sostenerlo, ma senza mai mettere troppa pressione. Lo sport deve essere un'opportunità di crescita, non un campo di battaglia. La cosa più importante è che i ragazzi si sentano liberi di esprimere sé stessi, e di sviluppare le proprie capacità in un ambiente sano e sereno».
Vuole fare un appello alle Istituzioni?
«Il mio appello alle Istituzioni è di non dimenticare mai l'importanza di investire nello sport, soprattutto in quello dilettantistico e giovanile. Lo sport è una risorsa fondamentale per la comunità e per i giovani, e ha il potere di formare le persone sotto molti punti di vista. È essenziale che le strutture, le risorse e le opportunità per i ragazzi e le società sportive siano sempre più numerose e accessibili. Lo sport deve essere visto come un diritto per tutti, e deve essere incoraggiato e supportato in ogni sua forma».
Un sogno nel cassetto?
«Il mio sogno è quello di vedere un calcio dilettantistico e giovanile sempre più sano, inclusivo e capace di coinvolgere ragazzi e ragazze, indipendentemente dal loro background. Mi piacerebbe vedere sempre più giovani protagonisti, non solo come atleti, ma anche come cittadini attivi e consapevoli del loro ruolo nella società. E, personalmente, spero di riuscire a portare avanti il mio impegno nell'area sociale, contribuendo a sensibilizzare tutti sul valore educativo e formativo dello sport, promuovendo iniziative che possano davvero fare la differenza nelle comunità».